Blind

BLINDOggi, mentre si vengono a sapere i premi di Berlino 2014 e scopro di avere avuto l’occasione (ma non averla colta) di vedere diversi film premiati (come Aimer, Boire et Chanter o Tui Na (Blind Massage)), ripenso a Blind, il film della sezione Panorama che mi ha colpito di più fra i pochi(ssimi) visti. Non ha vinto niente all’interno della sezione, ma la cosa non mi preoccupa molto.
Quando penso a questo film, penso inevitabilmente che la trama si potrebbe riassumere in un “donna non esce di casa da quando è diventata cieca, ma riesce a superare infine la propria apatia e le proprie fobie grazie alla scrittura e all’immaginazione”, che mi suonerebbe vagamente simile a qualcosa che ho scritto. Ma ovviamente Blind è un bel film e non si può ridurre a queste poche parole.

Qualche linea di contatto fra questo film e il mio libro forse ci sarà, ma probabilmente è anche la mia mente distorta che mi fa vedere la mia storia ovunque. Il riassunto qui sopra non è così sbagliato, ma la cosa veramente interessante di Blind è la messa in scena, oltre che il rapporto che c’è fra la protagonista e il marito (personaggio volutamente omesso poco fa). La cosa più facile da dire è che fondamentalmente si tratta di un monologo di Ingrid (la protagonista cieca) e della sua immaginazione, così che il film diventi a tratti un’esperienza sensoriale sulla cecità (cosa molto interessante e difficile, cosa infatti su cui non ci si spinge fino in fondo). Mentre emergono il carattere e le paure di Ingrid attraverso i personaggi che popolano il film, attraverso una scenografia molto curata e trasformista possiamo vivere con lei le difficoltà nei movimenti e la concretezza delle cose che la circondano. Il film alterna (in maniera sbilanciata) le percezioni soggettive della protagonista a una visione più oggettiva, mostrando il proprio gioco dopo non molto, ma senza perdere di interesse, anzi.
Fra controcampi in ambienti variabili e in trasformazione, personaggi credibili e letterari al tempo stesso, è molto difficile descrivere questo film a parole. Proprio per questo varrebbe la pena di (ri)vederlo, e forse anche per questo la sceneggiatura di Eskil Vogt (anche regista) è stata premiata al Sundance Film Festival.
Durante l’interessante Q&A, sono emerse sotto forma di aneddoti le difficoltà e i limiti presenti anche per un film di questo calibro, all’apparenza molto curato e dal budget non così risicato (per quanto semplice alla fine nelle location). Insomma, tutto il mondo è paese, anche la Norvegia. Ma la cosa più divertente (o agghiacciante) è la reazione degli americani al film, sempre a detta di Vogt: “Bello, potremmo rifarlo!”

Una piccola nota sulla locandina del film: il sesso e la sessualità sono evidentemente una parte importante del film e della protagonista[[1. e secondo me qui emerge un po’ la mentalità nordeuropea, ad aver visto Nymphomaniac di Lars von Trier magari potevo fare dei confronti]], ma secondo me quell’immagine è un po’ fuorviante e secondo me fatta (anche) per accalappiare qualche allupato in più. Magari mi sbaglio.

Il trailer:

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