e’ rest

una parte ineluttabile dell’essere umano

Dato che una parte ineluttabile dell’essere umano è la sofferenza, ciò che noi esseri umani cerchiamo nell’arte è anche un’esperienza di sofferenza: che sarà necessariamente un’esperienza mediata, o per meglio dire una generalizzazione della sofferenza. Capisci cosa intendo? Nel mondo reale tutti soffriamo da soli; la vera empatia è impossibile. Ma se un’opera letteraria ci permette, grazie all’immaginazione, di identificarci con il dolore dei personaggi, allora forse ci verrà più facile pensare che altri possano identificarsi con il nostro. Questo è un pensiero che nutre, che redime: ci fa sentire meno soli dentro. Magari è tutto qui, semplicemente.

Continue Reading →

non scrisse più nulla

Il 19 dicembre si sforzò per alzarsi e vertirsi, poi si sedette accanto al fuoco della sua stanza a pettinare i folti e lunghi capelli. Il pettine le cadde nelle fiamme, e non ebbe la forza di raccoglierlo, la camera da letto si andò riepiendo di odore d’osso bruciato. Poi scese in salotto, e lì, seduta sul divano, morì alle due del pomeriggio dopo aver rifiutato ancora una volta di tornare a letto. Aveva soltanto trent’anni, e non scrisse più nulla.

Continue Reading →

le ultime parole

Julie de Lespinasse era morta il 23 maggio 1776, a quarantatre anni, circondata dagli amici più intimi. Passò gli ultimi tre giorni in un tale stato di consunzione che quasi non riusciva a parlare. Le infermiere la rianimarono con dei cordiali e la fecero mettere a sedere un momento nel eltto. Le sue ultime parole furono di sorpresa, disse: «Sono ancora viva?»

Continue Reading →

io vedo l’indiano

[Frank Harris] ha raccontato come una volta avesse discusso con [Rudyard Kipling] circa l’inverosimiglianza, in uno dei suoi racconti, di un incidente provocato dalla repentina apparizione di un indiano con una coppia di buoi e un carico di legna sul bordo di un precipizio. L’apaprizione provocava l’immediato precipitare di uno dei personaggi e così la storia finiva. Secondo Harris, «pore fine a una discussione psicologica con un brutale incidente era un insulto all’intelligenza». «Perché?, — domandò Kipling. — Nella vita avvengono gli incidenti». Harris insisteva, ritenendo che quello fosse troppo improbabile e che «in arte l’improbabile è peggiore dell’impossibile». La risposta di Kipling fu molto semplice, ma sufficiente a porre fine alle obiezioni: «Io vedo l’indiano», disse.

Continue Reading →

il problema della solitudine

Penso che tutta la buona letteratura in qualche modo affronti il problema della solitudine e agisca come suo lenitivo. Siamo tutti tremendamente, tremendamente soli. Ma c’è qualcosa, quantomeno nei romanzi e nei racconti, che ti permette di entrare in intimità con il mondo, e con un’altra mente, e con certi personaggi, in un modo in cui non puoi proprio farlo nel mondo reale.

Continue Reading →

una frase di Čechov

Al mio attivo solo il ricordo di una frase di Čechov: «credeva che la cosa principale, a questo mondo, sia la giustizia, e che la salvezza stia esclusivamente nella giustizia. Ma una volta capitato in una bettola, ne fuggì inorridito. Perciò io dicevo a mia moglie che lui vedeva le macchie sul vetro, ma non vedeva il vetro».

Continue Reading →

sono l’Occidente

Sono l’Occidente perché odio le emergenze e ho fatto della comodità il mio dio; perché tendo a riconoscere Dio in ogni cosa tranne che nella religione. Perché mi piace che se premo un bottone gli eventi accadano come per miracolo, ma non ammetteri mai di dover rendere omaggio a un’entità superiore; sono laico e devoto alla mia ragione. Sono l’Occiddente perché detesto i bambini e il futuro non mi interessa.
Sono l’Occidente perché godo di un tale benessere che posso occuparmi di sciocchezze, e posso chiamare sciocchezze le forze oscure che non controllo. Sono l’Occidente perché il Terrore sono gli altri.

Continue Reading →

una protesta per l’inesistenza di Dio

Per resistere senza una speranza nell’adlilà, e nel Paradiso, bisogna poter sperare nel paradiso in terra. (Non sto parlando di pochi intellettuali stoico-epicurei, sto parlando della gente comune.) Dare l’illusione del paradiso in terra è l’obiettivo finale del consumismo; o, se si vuole, il consumismo è una protesta per l’inesistenza di Dio. Comprando si è onnipotenti, soprattutto se compri qualcosa che ti serve a poco; i centri commerciali sono isole dei beati dove (grazie all’aria condizionata) è sempre primavera, dove ogni tuo desiderio è un ordine, dove le distanze si annullano perché i prodotti di tutto il mondo si offrono fianco a fianco, a tua completa disposizione.

Continue Reading →

l’ultimo gradino

A ottantadue e ottant’anni, non usano la televisione per evadere ma per stare tenacemente aggrappati alla vita che gli sfugge — in una sola cosa mi somigliano: la loro strategia per la serenità tende ad annullare i dispiaceri invece che a moltiplicare i piaceri (ma l’ultimo gradino li fregherà, la morte). C’è forse una via emiliana al buddismo.

Continue Reading →

la realtà è un progetto

Anche in questo romanzo il personaggio Walter Siti è da considerarsi un personaggio fittizio: la sua è una autobiografia di fati non accaduti, un fac-simile di vita. Gli avvenimenti veri sono immersi in un flusso che li falsifica; la realtà è un progetto, e il realismo una tecnica di potere. Come nell’universo mediatico, anche qui più un fatto sembra vero più si può stare sicuri che non è accaduto in quel modo.

Continue Reading →