La stanza del malato

Si accede alla stanza tramite una porta anonima che forse una volta era stata bianca.

La porta non si apre del tutto per via dei vestiti appesi e dimenticati dietro di essa che fanno spessore contro il muro. Subito si trova un cesto dei panni sporchi cilindrico, alto circa un metro, e una tracolla verde qualcosa, una borsa da lavoro piena di scartoffie, uno spazzolino e un dentifricio, una bottiglietta d’acqua acciaccata e vuota, nient’altro. La borsa è appoggiata contro un mobile montabile, tipo-IKEA ma non IKEA. Quattro pannelli di compensato e uno sottilissimo di cartone, contro il muro. Se lo si guarda attentamente il mobile è un po’ storto, non si sa se per la pendenza del pavimento o per il montaggio non professionale, insomma le ante non chiudono benissimo, anche se la differenza è di millimetri e forse non ci si fa neanche troppo caso. L’interno del mobile non si vede, ma si può facilmente immaginare: vestiti, vestiti, vestiti. Sopra al mobile una o più scatole da scarpe, due quadri in bianco e nero lasciati là sopra da chissà quanto. Proseguendo lungo la parete, una cassettiera bassa, trovata per strada e ridipinta di un colore cangiante, virante ora al blu ora al verde scuro, a seconda di quanta luce si posa su di esso. I contorni dei quattro cassetti e i pomelli sono dorati, altri vestiti sono nascosti dentro. Sul ripiano un’accozzaglia di cose: cartelle, raccoglitori, buste, quaderni e quadernini, scontrini, e-reader, cinture, cd, imballaggi, libretti di istruzioni, disegni, auricolari, agende, biglietti d’auguri, attestati in tedesco, romanzi inediti, pezzi di polistirolo. Su polistirolo e uno scatolone è appoggiata la scrivania che fa angolo contro il muro e a cui manca la gamba sinistra. La destra è composta da una colonnina con cassetto in tinta con la suddetta cassettiera e un vano nel quale sono infilati oggetti fotografici vari. Sulla scrivania sono appoggiati altri fogli e quaderni, penne, segnalibri, matite colorate, scontrini, cuffie, dischi esterni, cellulari, giochi di carte, laptop e tazze viennesi sbeccate. Sopra alla scrivania, alla parete, sono appese due foto stampate su tela in formato A4, una a colori e una no. Proseguendo sulla seconda parete della stanza si trova una grande finestra, larga quanto metà della camera. Sul davanzale una ciabatta e due alimentatori, sotto un termosifone acceso e una felpa appesa alla sua gruccia. Alla finestra due tendine semi-trasparenti e una tapparella mezza abbassata, ma il colore spento della luce che filtra deriva più dalle nuvole nel cielo. Continuando il percorso perimetrale della stanza si finisce su di una poltrona scura, posizionata diagonalmente rispetto all’angolo fra le due pareti, a formare un triangolo rettangolo che aspira solamente ad essere anche isoscele. La poltrona è un po’ scucita in cima ai braccioli, motivo insufficiente a lasciarla sul marciapiede dove è stata trovata, e ospita cuscini colorati, coperte, altri vestiti. La terza parete è vuota per cui si scivola facilmente fino all’angolo successivo ospitante un’altra cassettiera, più alta della precedente ma dalla stessa provenienza. Anche questa è stata ridipinta, di un color panna, e i suoi pomelli alternano dei vivaci viola, azzurro e grigio, combinati in modo da non essere mai in coppia sullo stesso cassetto. Sul ripiano di vetro: un libro (di Nabokov), scatole ridipinte, specchi più o meno grandi, contenitori di ogni tipo, pennelli, trucchi, un’agenda portoghese e una lampadina economica a molletta. Gli specchi, così come la schiena del mobile, sono appoggiati sulla quarta parete, quella dalla quale si accede alla stanza. Confinante con la cassettiera, troviamo la testata di un letto matrimoniale dall’evidente provenienza, ed è davvero IKEA questa volta. La testata è dello stesso bianco sbiadito della porta, del termosifone e delle pareti intonacate. Alla destra del letto un comodino insolito e traballante, dalla base rotonda e il corpo cubico. Il cubo si apre dall’alto in modo piuttosto scomodo e contiene oggetti dimenticati e possibilmente inutili nella vita di tutti i giorni, da cui il soprannome di Buco Nero, nonostante il colore bordeaux del mobile. Sul ripiano sono appoggiate scatole di fazzoletti, pacchetti di fazzoletti, fazzoletti più o meno usati, alcuni caduti per terra, un’altra lampadina, letteralmente ricoperta di fumetti Disney (di paperi per la precisione), occhiali, un termometro, Tachipirina, Ketodol, Nasenspray, un DeLillo appena iniziato, polvere, due cartoline.
Fondamentalmente questo è tutto ciò che contiene la stanza.
Ah, e anche un malato, sprofondato nelle coperte e lenzuola, avvolte in qualche modo attorno al corpo raffreddato.

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