Senza ragione

L’abbandono generale, che alla lunga poteva temprare i caratteri, cominciò intanto col renderli futili. Per alcuni dei nostri concittadini, a esempio, essi erano allora soggetti a un’altra schiavitù, che li metteva al servizio del sole e della pioggia. Sembrava, a vederli, che ricevessero per la prima volta, e direttamente, l’impressione del tempo che faceva. Si rallegravano in faccia alla semplice vista d’una luce dorata, mentre i giorni di pioggia gli mettevano sui volti e sui pensieri un velo spesso. Qualche settimana prima, sfuggivano a tale debolezza e a tale servitù irragionevole in quanto non erano soli di fronte al mondo e, in una certa misura, la persona che viveva con essi si poneva davanti al loro universo. A cominciare da quel momento, invece, essi furono apparentemente abbandonati ai capricci del cielo, ossia soffrirono e sperarono senza ragione.


la peste[Albert Camus, La peste (La peste), 1947,
trad. Beniamino Dal Fabbro, Gruppo Editoriale Fabbri 1948, p.58]