Ho letto da qualche parte che (parafraso) senza un pubblico, gli scrittori sarebbero solo dei pazzi che parlano da soli.
Temo di essere pazzo.
Ho letto da qualche parte che (parafraso) senza un pubblico, gli scrittori sarebbero solo dei pazzi che parlano da soli.
Temo di essere pazzo.
Oggi ho fatto un test, una di quelle cose per perdere tempo e sentirmi un po’ peggio alla fine, tanto ho già deciso che risultato voglio e se non viene il test è una cagata e se viene è una cagata lo stesso, ho solo attenuato la perdita di tempo con un briciolo di soddisfazione.
Una domanda era “[Godo il momento] o [Penso più al futuro]”. Ora non può essere che uno tema il futuro, ma non goda neanche il momento? Lo so, questo è un post alla Paolo Nori.
Oggi parto. La Germania non è una meta qualsiasi, la mia partenza non è casuale, ma la mia non è una fuga.
Lascerò indietro con gioia alcune cose (una su tutte: la politica italiana) mentre altre le rimpiangerò (una su tutte: la piadina), ma ciò che conta è partire. Un’esperienza nuova, una vita nuova, ma non senza legami con la vecchia e che alla vecchia tornerà senza dubbio. Non è una fuga, è un percorso, e come qualunque percorso che non sia circolare mi renderà più ricco, qualunque cosa succeda. Per il resto si vedrà.
A una settimana dalla partenza, mi sento un po’ così.
Questi giorni, dal capodanno ad ora e fino al 15, sono stati e saranno per me come quella lunga attesa dietro ai blocchi di partenza, in particolare quando mi aspettano i 100 metri di un decathlon. Quando sei pronto e zampetti su una gamba e sull’altra, contraendo ogni singolo muscolo per avvertirne la presenza, scuotendo il capo e stringendo i pugni per sentire le articolazioni scricchiolare, e nel frattempo aspetti impaziente quel fischio lontano che indica allo starter che i cronometristi sono pronti. E mentre aspetti, incapace di stare fermo, mentre cerchi di trovare la concentrazione e la cattiveria per riuscire a spingere con tutta la tua forza sui blocchi, inevitabilmente i pensieri si fanno confusi e volano alle prove che ti aspettano una dopo l’altra, alle intense due giornate di gare che stanno per cominciare, non appena sentirai quel maledetto fischio. E ti sembra che il tempo si dilati fino a far trascorrere minuti e ore a volte prima di sentire quel suono acuto e lontano, l’inizio dell’inizio. Involontariamente pensi già alle prove successive, aspettandone alcune con speranza, altre con timore, ma sempre con il desiderio e l’impazienza di affrontarle tutte. Se fosse possibile in questo preciso momento le vorresti divorare tutte quante assieme, una dietro l’altra, ma soprattutto vorresti metterti su questi blocchi e partire. Quando senti il fischio, ogni fragile contatto con l’esterno esplode in mille frammenti che presto ti lasciano a rapidissime elucubrazioni, a una ricerca di concentrazione difficile ma quanto mai necessaria. Ancora una volta, lo starter sembra muoversi al rallentatore, dotato di un’insostenibile lentezza, mentre il peso della futura due giorni di gare pare accumularsi su di te in anticipo. Non vedi l’ora di spingere con tutta la forza che hai in corpo su quei blocchi, sulla pista morbida e fenderla con i chiodi delle tue scarpe, come prolungazioni del tuo corpo, non vedi l’ora di contrarre, premere, graffiare, colpire, lacerare, spingere, scattare. Sai che sarai dentro al decathlon solo una volta oltrepassata la linea di partenza di questi 100 metri e solo allora ti sentirai davvero pronto ad affrontare tutto ciò che si porrà sul tuo cammio, con una calma e concentrazione che ora sembra invece irraggiungibile. Il vecchio giudice con la pistola non è che salito sul piedistallo e solo ora si avvicina il megafono alla bocca. Lo vedi con la coda dell’occhio, non puoi non guardarlo perché questa bolla di tempo è interminabile e non sai più come aggrapparti alle poche cose a cui dovresti davvero pensare, ogni briciolo di razionalità sta svanendo da te, dalla tua mente, dal tuo essere. E ora non sai cosa stai pensando, non lo saprai mai, non riuscirai neanche a ricordartelo una volta arrivato, pensi già alla gara successiva, al lungo, o ai 400, ai temuti ostacoli, pensi già a quanto potrai saltare domani con l’asta, al vento che speri non venga a disturbarti, speri nel tempo clemente, temi la pioggia come il sole cocente, ma sei pronto a tutto, e quella che si srotola davanti a te è una corsia di soli 100 metri ma è anche la porta d’ingresso a tutto ciò che verrà dopo. Pensi a tutto e il contrario di tutto, senza però davvero coscienza di ciò che si sta compattando nella tua mente, formando un’unica densissima sfera di immagini e parole, pronta ad esplodere quando infine lo starter gracchierà dal megafono un secco Ai vostri posti. Solo allora la testa si svuoterà di ogni pensiero e ti sentirai come galleggiare fino ai blocchi. Solo quando sarai chinato, le mani a terra, i piedi premuti sulla pista verticale, nervoso, sarai pronto per l’ultima attesa, la più breve e più lunga al tempo stesso. E quando finalmente dal megafono uscirà la voce più bassa per dire una sola parola Pronti, allora sì, davvero sarà il vuoto tutto attorno e solo la determinazione rimarrà dentro di te, la determinazione di superare ogni ostacolo e barriera, fisica e mentale, a qualunque costo. Ed è ora, mentre aspetti sul pronti, compresso come una molla, ogni fibra del corpo tesa allo spasimo, è ora che sai che arriverai in fondo anche questa volta.
Due sere fa, sempre nel mio locale preferito di Forlì, il grande Rocco Ronchi ha parlato di zombie. Seriamente. E grazie a lui ho capito perché fra i due, e in generale fra le varie “creature della soglia” [[1. su questo argomento bisognerebbe approfondire, anche se non saprei né come né quando.]], sono sempre stato più attratto dai vampiri [[2. nonostante poi le recenti mode siano arrivate a farmi odiare entrambe le categorie]].
Non è tanto per la loro letterarietà (contro la propensione per il cinema degli zombie) o perché sono un romantico aristocratico, quanto per la loro solitudine e unicità (contro l’essenza puramente oncologica degli zombie). Ci dovrei ragionare su.
Nel frattempo, attendo che passino di moda.
Sto giungendo alla conclusione che esistono prefazioni utili, o quantomeno accettabili, contrariamente a quanto credevo. Fondamentalmente potrei arrivare a stabilire che sono quelle concepite dallo stesso autore, come facenti parte dell’opera (vedi Saramago) o come presentazioni della stessa (vedi Le città invisibili di Calvino, appena iniziate).
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