Samuel Beckett

Il perturbante che migliora la vita

In questi giorni, per un motivo o per l’altro, ho riguardato le prime due puntate di Neon Genesis Evangelion e mi sono ricordato di uno dei (tanti) momenti perturbanti di questa serie-anime (la migliore di tutti i tempi, a scanso di equivoci), uno di quei momenti di smarrimento che poi ricorderò come bellissimi, come l’alba di una nuova era della (mia) mente.
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Parole del 2015

Quando non gliene frega più nessuno, quando ogni cosa ha perso di senso, quando ci si è trovati al cospetto della morte, nudi e indifesi ancora una volta, come sempre, ora, senza nessun motivo, mi è venuta voglia di fare quel gioco della settimana delle classifiche. Senza classifiche. Senza regole. Senza niente.

Solo qualche libro che mi è passato per le mani e vale la pena di essere ricordato.
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Senza pace

Non stava lavorando a nulla di nuovo, ma aveva tentato con difficoltà di tradurre Stirrings Still in francese. Gli chiesi se potevo portargli qualcosa. Risposte di no, finché poteva contare sui suoi giornali e il suo whiskey. Mentre parlavamo, di colpo si alzò dalla sedia e cominciò a camminare in giro per la stanza. Lo faceva per la circolazione? “No”, fece lui, “perché sono senza pace”.

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Difficile

Ha scritto un pezzo per me: Di’ Joe. Mi limitavo a muovere le labbra. Dovevo sentire, non pensare. È la pièce più sfibrante che abbia mai affrontato, e dura venti minuti. Osservai: “Mio dio, Sam, diventi sempre più difficile”. Immaginazione morta immaginate era un romanzo di 260 pagine. Gli domandai: “Come va co libro?” Mi rispose: “L’ho ridotto a 18 pagine. È tutto quello che ho potuto salvare dell’originale”.

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Le non-classifiche del 2014 #3: qualche libro (e un fumetto)

Ancora niente classifiche, solo titoli, e in questo caso neanche dell’anno passato.
Semplici libri (e fumetti) letti durante il 2014.
Viste le date di pubblicazione della maggior parte dei libri citati, qui la dicitura “dell’anno” qui fa particolarmente ridere.
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Fallimento IV

Vecchia terra, mentito anche troppo, l’ho vista, ero io, con i miei altrui occhi grifagni, è troppo tardi. Sta per essere sopra di me, sarò io, sarà lei, saremo noi, non eravamo mai stati noi. Non sarà domani forse, ma troppo tardi. Sarà presto, quando la guardo, e che rifiuto, quando mi rifiuta, la tanto rifiutata. È un anno da maggiolini, l’anno prossimo non ce ne saranno, e neanche l’anno successivo, guardali bene. Torno la notte, volano via; lasciano la mia piccola quercia e se ne vanno, sazi tra le ombre. Tristi fummo ne l’aere dolce. Torno, alzo il braccio, afferro il ramo, mi metto in piedi ed entro in casa. Tre anni nella terra, quelli che sfuggono alle talpe, poi divorare, divorare, per dieci giorni, quindici giorni, e ogni notte il volo. Sino al fiume, forse, si dirigono verso il fiume. Io accendo, spengo, vergognoso, resto in piedi davanti alla finestra, vado da una finestra all’altra, appoggiandomi ai mobili. Per un momento vedo il cielo, i diversi cieli, poi diventano volti, agonie, i diversi amore, gioie anche, ce ne sono anche state, disgraziatamente. Momenti di una vita, della mia, tra altri, ma sì, dopotutto. Gioie, che gioie, ma che morti, che amori, sul momento l’avevo saputo, era troppo tardi. Ah amare, morendo, e veder morire, gli esseri presto cari, ed essere felici, perché ah, non vale la pena. No ma ora, solo restare qui, in piedi davanti alla finestra, una mano sul muro, l’altra aggrappata alla camicia, e guardare il cielo, un po’ a lungo, ma no, singulti e spasimi, mare di un’infanzia, di altri cieli, un altro corpo.

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