Vado bello bello all’ufficiello in biciclello. È un po’ freschello, tira un venticello, ma ascolto Paolo Bello.
Mi tolgo il cappello, e subito il superiorello, un vecchierello paffutello, mi fa tutto un discorsello, manco fosse un indovinello. Non ci capisco un bacello in tutto questo carosello, allora chiedo al furfantello cosa vuole sul più bello.
Lui mi dice “Giovincello, ho bisogno di un libello”. Si tratta del nuovo applicazioncello. Ho bisogno di un modello, non posso scrivere il libello, se ne occupa quel birbantello del programmatorello. Mi siedo sul mio sgabello, cerco qualche contattello, poi dirigo il mio battello verso il referentello. Non c’è nessun tranello, quello mi risponde e manda il mio libello, cosí che io possa bello bello girarlo al furfantello.
Il vecchierello mi ringrazia e si compiace scioccherello, cinguettando come un uccello.
omoteleuti
Esercizi di stile: omoteleuti 2
Giaccio all’ufficio, passando per l’adiaccio, ascoltando un gruppaccio, er Piottaccio.
Appena al calduccio, viene il capoccia al mio tavolaccio e mi fa un discorso a braccio di un fattaccio, manco fosse un pagliaccio. Taccio.
Però poi non m’allaccio, è un cagnaccio, e gli faccio che mi spieghi meglio cosa vuol che faccio. Che caccio.
Vuol da me uno scartafaccio, di quel pastiticciaccio informaticaccio. Non lo saccio, mi lascia lì nell’impaccio, ma devo chiedere a quelli dell’altro ufficio, che ci ha fatto sto lavoraccio. Traccio un listaccio di contatti, poi trovo un geniaccio e gli scrivo un dispaccio. Per fortuna il tipaccio mi invia il documentaccio e io lo giro al capoccia. Quel vecchiaccio.
Quello viene e mi aspetto il boccio, ma poi mi compiaccio: dopo il grazie per poco non ci scappa anche l’abbraccio.
Esercizi di stile: omoteleuti 1
Raggiungo l’ufficietto, bicicletto, mi affretto, ascolto Mauro Repetto, lui viene dal ghetto.
Mi tolgo il giubbetto e il berretto, e subito abietto mi chiama il capetto. Sto stronzetto mi ha chiamato al suo cospetto, tutto eretto, sembra un furetto. Mi ha detto un discorsetto imperfetto e non si capisce l’effetto. Cosa vuole dal mio intelletto.
Glielo chiedo corretto e mi risponde in falsetto. Un manualetto su quel progetto, l’ho letto ma non sono un maghetto, per scrivere l’opuscoletto avrei bisogno di un mesetto.
Devo cercare l’architetto, quello che si è occupato del progetto. Ma non prometto. Gli scrivo di getto, senz’affetto, glielo chiedo schietto. È un bel soggetto, mi invia subito il tesoretto, non c’è trabocchetto. Lo inoltro al capetto col turbogetto.
E subito quel vecchietto è felice come un bimbetto. Mi dice grazie e io accetto. Che bel siparietto.