Fate succumbs
many a species: one alone
jeopadrises itself.
Author Archives: lerio
come una freccia (assassina)
Se la fantascienza è l’apparato mitologico della tecnologia moderna, allora il suo mito è tragico. La «tecnologia» o la «scienza moderna» (uso queste parole come vengono usate solitamente, in una forma abbreviata mai messa in discussione che indica le scienze «dure» e l’alta tecnologia fondate su una continua crescita economica) sono imprese eroiche, prometeiche, fatiche di Ercole, concepite come trionfi, e quindi in ultima istanza come tragedie. La narrativa che incarna questo mito sarà altrettanto trionfalistica (l’Uomo che conquista la Terra, lo spazio, gli alieni, la morte, il futuro) e tragica (l’apocalisse, l’olocausto, prima o poi).
Se però si elimina la modalità lineare e progressiva del Tempo come freccia (assassina) che è propria del tecno-eroismo e si ridefiniscono la scienza e la tecnologia fondamentalmente come sacchetti della spesa culturali piuttosto che come strumenti di dominazione, uno dei piacevoli effetti collaterali è che la fantascienza può essere vista come un ambito molto meno rigido e angusto, nient’affatto prometeico o apocalittico, e in effetti come un genere più realistico che mitologico.
l’orrore più grande di tutti
“Pensavo di aver immaginato ogni genere di orrore, là fuori, ma non mi aspettavo l’orrore più grande di tutti.”
“Il mondo è normale.”
quando il vostro mondo comincia a crollare
Che cosa fate quando il vostro mondo comincia a crollare? Io vado a fare una passeggiata e, se ho davvero fortuna, trovo funghi. I funghi mi riportano in me, non soltanto – come i fiori – per i loro colori sgargianti e i loro profumi, ma perché spuntano in modo del tutto inaspettato, ricordandomi quanta fortuna ho avuto nel trovarmi proprio lì. Allora so che esistono ancora piaceri tra i terrori dell’indeterminazione.
non malgrado
Riflettere autenticamente significa darsi a se stesso, non come una soggettività oziosa e recondita, ma come ciò che si identifica con la mia presenza al mondo e agli altri come io la realizzo adesso. Io sono come mi vedo, un campo intersoggettivo, non malgrado il mio corpo e la mia storia, ma perché io sono questo corpo e questa situazione storica per mezzo di essi.
simply too many choices
The ability to combine them only adds a layer of disorientation: when all experience can be deconstructed and reconfigured, there become simply too many choices. And in the absence of any credible, noncommercial guides for living, the freedom to choose is about as “liberating” as a bad acid trip: each quantum is as good as the next, and the only standard of an assembly’s quality is its weirdness, incongruity, its ability to stand out from a crowd of other image-constructs and wow some Audience.
more engaging simulacra
The paradox in Gilder’s rosy forecast is the same as in all forms of artificial enhancement. The more enhancing the mediation – see for instance binoculars, amplifiers, graphic equalizers, or “high-resolution pictures hardly distinguishable from real-life images” – the more direct, vivid, and real the experience seems, which is to say the more direct, vivid, and real the fantasy and dependence are.
An exponential surge in the mass of televisual images, and a commensurate increase in my ability to cut, paste, magnify, and combine them to suit my own fancy, can do nothing but render my interactive TC a more powerful enhancer and enabler of fantasy, my attraction to that fantasy stronger, the real experiences of which my TC offers more engaging and controllable
simulacra paler and more frustrating to deal with, and me just a whole lot more dependent on my furniture.
mickey17: due appunti
Tre indizi fanno una prova: gli USA fanno male a Bong Joon-Ho l’America: i suoi film americani sono i suoi meno interessanti, più didascalici*; grotteschi ma non abbastanza da far ridere o inorridire o riflettere, forse una semplice rappresentazione realistica degli USA visti dalla Sud Korea.
Mickey17 non è un film brutto, ma è sbagliato: inizia bene ma poi si perde, le metafore politiche e ambientali sanno di già visto e sono troppo didascaliche, è come le parodie superate dalla realtà, dramma già vissuto in Italia da più di vent’anni. Mi ha ricordato Don’t look up** in questo: buone intenzioni, bravi registi, risultato mediocre.
Ruffalo/Trump (le labbra, le movenze, i cappellini rossi, persino il tentato omicidio) è meno esagerato del Trump vero, la distopia fantascientifica per certi versi è meno distopica degli USA contemporanei, anche il lieto fine, nel 2025, dopo la rielezione e tutto quello che ne consegue, suona stonato. Non per niente, la scena migliore del finale è quella onirica della ristampa del politico da parte della moglie, alle parole di (qualcosa come) “So che lo rivolete”. Fuori tempo massimo, ma funziona sempre: la nostalgia per l’uomo forte è più presente che mai, anche se Trump è già stato rieletto.
Posso anche capire il finale utopico che mostra un’alternativa: la convivenza pacifica con un mondo incontaminato, ma sembra davvero qualcosa che non ha niente a che fare col mondo nel quale viviamo, dove anzi si sovrappone comunque con l’idea estrattivista/colonialista di altri pianeti (un’idea, manco a dirlo, portata avanti sempre dagli stessi, nonostante sia completamente delusional, oltre che colonialista).
Persino la premessa che una nuova tecnologia possa creare problemi etici/legali e per questo essere bandita/limitata incrina la sospensione dell’incredulità in un mondo che corre al riarmo nucleare, che glorifica crimini contro l’umanità, che ignora ogni tribunale internazionale.
Forse il problema sta proprio qui: ci si trova fin da subito in un mondo grottesco ma allo stesso tempo fin troppo buono e positivo rispetto al nostro, fin dalle premesse. Anche le cattiverie e le storture sistemiche, i potenti e malvagi e persino gli uomini comuni con le loro indifferenze crudeli, tutto nel film sembra quasi un sollievo, una favola per bambini rispetto a un qualunque telegiornale. Quindi ogni critica politica o sociale scivola via, innocua, così come scivola via anche ogni slancio utopico e il film stesso, inutilmene lungo (ma questo ormai vale per il 90% delle produzioni statunitensi) e involuto (sembra non decidersi su che genere prendere, che storia raccontare, in bilico fra tutte quelle possibili – ma questo per me è il problema minore, anzi potrebbe anche essere un pregio se riuscisse nell’intento), dopo una premessa che poteva anche sembrare interessante, quantomeno dal punto di vista esistenziale.
I punti che rimangono validi infatti sono quelli che riguardano i(l) protagonista/i, la sua condizione esistenziale che esplode con lo sdoppiamento, con la paura di morire che torna a fare capolino quando si rischia di perdere definitivamente la propria identità oltre che il proprio corpo (come se fossero separabili***). In questo senso, la domanda che si continua a pensare e fare ma non a rispondere rimane vuota fino a quando non c’è qualcosa in palio, e per questo Mickey18 torna a essere un personaggio tragico e non più farsesco, perché ha qualcosa in palio: anche lui, prima di farsi saltare in aria, ha paura di morire.
*forse si potrebbe fare un discorso simile per Lanthimos, ma lì credo dipenda molto anche dalla presenza o meno di Efthimis Filippou alla sceneggiatura
**che aveva problemi ulteriori oltre a non funzionare né nei momenti comici né in quelli drammatici (tranne la scena, la migliore per me, del generale (credo) che frega i soldi della macchinetta): quello di sbagliare metafora per il riscaldamento climatico (concesso che sia molto difficile trovare una metafora giusta per l’iperoggetto per definizione)
***si potrebbe ragionare anche sulla narrazione del dualismo mente-corpo, anche questo in versione molto classica e poco problematica, rispetto ad esempio a film come The substance (altrettanto didascalico per altri versi, se si vuole portare avanti il discorso del new literalism)
this is just what literature is
Perhaps this is just what literature is, a way of saying that something both is and is not the case, of asserting both things at once. And perhaps this is irony: not saying something other than what is meant in the form of a simple opposition, but saying something while allowing the possible validity of its contrary.
make no mistake
Whether passive or active as viewer, I must still cynically pretend, because I’m still dependent, because my real dependency here is not on the single show or few networks any
more than the hophead’s is on the Turkish florist or the Marseilles refiner. My real dependency is on the fantasies and the images that enable them, and thus on any technology that can make images fantastic. Make no mistake. We are dependent on image-technology; and the better the tech, the harder we’re hooked.