esseri senza speranza

Può darsi che noi, che siamo creature legate alla terra e abbiamo cominciato a comportarci come se l’universo fosse la nostra dimora, non riusciremo mai a comprendere, cioè a pensare e a esprimere, le cose che pure siamo capaci di fare. Sarebbe come se il nostro cervello, che costituisce la condizione fisica, materiale dei nostri pensieri, fosse incapace di seguirci in ciò che facciamo, tanto da render necessario in futuro il ricorso a macchine artificiali per produrre i nostri pensieri e le nostre parole. Se la conoscenza (nel senso moderno di know-how, di competenza tecnica) si separasse irreparabilmente dal pensiero, allora diventeremmo esseri senza speranza, schiavi non tanto delle nostre macchine quanto della nostra competenza, creature prive di pensiero alla mercé di ogni dispositivo tecnicamente possibile, per quanto micidiale.

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neppure

Non c’è ragione di dubitare del nostro potere attuale di distruggere tutta la vita organica sulla terra. La questione consiste solo nel vedere se vogliamo servirci delle nostre nuove conoscenze scientifiche e tecniche in questa direzione, ed è una questione cche non può essere decisa con i mezzi della scienza; è una questione politica di prim’ordine, e perciò non può essere lasciata alla decisione degli scienziati di professione e neppure a quella dei politici di professione.

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considerano ancora il tempo

I piedi erano andati, le mani erano andate. Probabilmente con altre temperature la cancrena avrebbe proceduto con maggior celerità. Ora invece in molti di loro c’è una strana affettazione, un’ansia che è tutta umana, o bestiale come quella dei cani. Considerano ancora il tempo come una faccenda importante. È per loro che la fretta ha un significato. I corpi che giacciono qui, vicino a me, all’interno della tenda, ormai la pensano in maniera differente.

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molto lontane e altrettanto superflue

Seppellivano provviste
disseppellivano provviste
montavano tende
smontavano tende
ogni giorno compivano
i medesimi gesti e questa ripetitività
e l’uniformità del paesaggio attorno a loro
contribuivano a dare l’impressione
che non avanzassero, che rimanessero
sul posto invischiati da un terreno colloso.
A volte si riunivano dentro le tende
e facevano programmi per il futuro.
Di domenica celebravano messa.
Percepivo le parole
sacro divino sacrificio
pronunciate più volte
con molta intensità ma forse con scarsa efficacia
e che rimandavano ad altre cerimonie
molto lontane e altrettanto superflue.

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l’angoscia

L’angoscia è nota a tutti, fin dall’infanzia, ed a tutti è noto che spesso è bianca, indifferenziata. È raro che rechi un’etichetta scritta in chiaro, e contenente la sua motivazione; quando la reca, spesso essa è mendace.

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non sono mai riuscito a uscire

In cima, una colonna cede e le due estremità si spostano. Ancora non è crollato nulla. Non riesco più a ritrovare l’uscita. Scendo, poi risalgo. Una torre-labirinto. Non sono mai riuscito a uscire. Abito per sempre un edificio che sta per crollare, un edificio intaccato da una malattia segreta. – Calcolo, dentro di me, per divertirmi, se una massa così prodigiosa di pietre, marmi, statue, muri che stanno per cozzare fra loro saranno molto imbrattati dalla gran quantità di materia cerebrale, di carne umana e di ossa sbriciolate.

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