Whose woods these are I think I know.
His house is in the village though;
He will not see me stopping here
To watch his woods fill up with snow.My little horse must think it queer
To stop without a farmhouse near
Between the woods and frozen lake
The darkest evening of the year.He gives his harness bells a shake
To ask if there is some mistake.
The only other sound’s the sweep
Of easy wind and downy flake.The woods are lovely, dark and deep,
But I have promises to keep,
And miles to go before I sleep,
And miles to go before I sleep.
Author Archives: lerio
riso
RISO (europeo). Per Rabelais, l’allegria e il comico erano ancora una cosa sola. Nel Settecento, lo humor di Sterne e di Diderot è un ricordo dolce e nostalgico dell’allegria rabelaisiana. Nell’Ottocento, Gogol’ è un umorista malinconico: «Una storia divertente, se la guariamo con attenzione e a lungo, diventa sempre più triste» dice. L’Europa ha guardato la storia divertente della sua esistenza così a lungo che, nel Novecento, l’allegra epopea di Rabelais si è trasformata nella disperata commedia di Ionesco, che dice: «Fra l’orribile e il comico c’è un esile confine». La storia europea del riso ha chiuso il cerchio.
sì, certo
FARRINGTON: Pur con tutti gli aspetti sgradevoli della nostra civiltà, preferisco certamente vivere come viviamo noi attualmente piuttosto che come viveva l’uomo delle caverne.
WITTGENSTEIN: Sì, certo, è ciò che preferisce lei. Ma lo preferirebbe anche l’uomo delle caverne?
ci può essere qualcosa di più nefasto?
Signore, c’è di che ridere sentendo il gran rumore che si fa a proposito della nocività dei film di gangster per i giovani, quando nelle nostre sale cinematografiche la mente di adulti e ragazzi viene avvelenata in modo sistematico da commenti della peggior specie che accompagnano le pellicole dei cinegiornali vansittartiani ispirate dal MOP. Ci può essere qualcosa di più nefasto delle notizie di guerra date da British Movietone, e da Universal News? La malvagia esultanza di fronte alle scene che mostrano «Huns» morti, antiche città tedesche rase al suolo, civili tedeschi vaganti tra le macerie della propria città? Nessuno dubita degli orrori indicibili delr egime nazista. […] Quando essi raggiungevano la massima ampiezza, ben prima della guerra e anche dopo il suo inizio, abbiamo sentito levarsi ben poche voci su quegli orrori… Adesso che il nemico non ha più nessuna legittimità di parola, tutti i trucchi ben noti della cinepresa e quelli ancora più sconci dei commentatori sono mobilitati per rappresentare il popolo tedesco, agli occhi irriflessivi del pubblico in sala, come un branco di lupi. I commentatori sono degni allievi del Dr. Goebbels, tedeschi della peggior specie.
non promette nulla di buono
Alle elezioni britanniche del luglio 1945 Wittgenstein votò per il Labour Party e sollecitò gli amici a fare lo stesso. Riteneva importante sbarazzarsi di Churchill. Scrisse a Malcom: “Non posso fare a meno di credere che questa pace sia soltanto una tregua. E che dire della pretesa che il completo annientamento degli ‘aggressori’ faccia di questo mondo un luogo dove vivere meglio? Come se una prossima guerra potesse, naturalmente, partire solo da loro: tutto ciò è assurdo e non promette nulla di buono, in realtà promette un futuro terribile.
le cose saranno terribili
Le cose saranno terribili dopo la guerra, chiunque sia il vincitore. Certo, sarebbe terribile se i nazisti vincessero, ma sarebbe terribilmente squallido se vincessero gli Alleati.
oblio
OBLIO. «… la lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio». Questa frase del Libro del riso e dell’oblio, pronunciata da un personaggio, Mirek, viene spesso indicata come il messaggio del romanzo. Il fatto è che in un romanzo il lettore riconosce anzitutto il «già noto». E il «già noto» di questo romanzo è il famoso tema di Orwell: l’oblio imposto da un potere totalitario. Ma l’originalità del racconto dedicato a Mirek non sta affatto qui. Mirek, che si adopera con tutte le sue forze perché non lo si dimentichi (lui, i suoi amici e la loro battaglia politica), fa al tempo stesso di tutto perché sia dimenticato l’altro (la sua amante di cui si vergogna). Prima di diventare un problema politico, la volontà di oblio è un problema antropologico: da sempre l’uomo aspira a riscrivere la sua biografia, a modificare il passato, a cancellare le tracce, sue e degli altri. La volontà di oblio è lungi dall’essere semplicemente la tentazione di barare. Sabina non ha motivo di nascondere alcunché, e tuttavia è spinta dal desiderio irrazionale di farsi dimenticare. L’oblio: ingiustizia assoluta e insieme consolazione assoluta. L’analisi romanzesca del tema dell’oblio è senza fine e senza conclusione.
a cosa serve?
tanimódi l’è tótta roba che, lo so, non serve a gnente, mo s’a duvéssmi buté véa tótt quèll che, tutto quello che non serve a niente, non si può, gnénca a vlai, u n s pò, uno sguardo, par déi, t’incòuntar una bèla ragaza, la guardi, a cosa serve? ma la televisiòun t sté d’avdài i campionèd europei d’atletica, i zént métar, i dusént métar, i quatarzént a ostacoli, il salto in alto, a cosa serve? o quant a véngh zò da la Marèccia, ch’ l’è bèla nòta, a vèggh San Maréin e Vrócc ch’ l’è tótt un lómm, e sòura al stèli, dal vólti a m’aférum, u s sint tènt ad chi gréll, a cosa serve?
u n’è una coleziòun
qui non è che uno rinasce, e poi rinasce e poi rinasce, cmè ch’è déi che pataca, qui è che non muori, fintènt ch’u i arvènza una scarana, una gravata, una bòcia d’inciòstar, svéita, sè, mo una bòcia d’inciòstar che ta l’é dróv tè, che t’é scrétt tè, fintènt ch’u i arvènza una cartuléina ch’u t’à mand un améigh véint trent’an fa, salutissimi da Venezia, fintènt ch’u i arvènza al lampadéini brusédi, ch’al t’à fat lómm ma tè, i cartéun de panetòun ad Nadèl, al scatli di sticadént, al cèvi vèci ch’al n’éirva piò gnént, mo al t’à vért tótt, fintènt ch’u i è al svegli, ch’a n n’ò, ad quèlli vèci, ch’al s carghéva, tric, tric tric, a n n’ò ènca do si nómar ch’i s’avdéva ènca ad nòta, adès a n n’ò óna a pila, quèlla ta n l cargh mai, znina, ròssa, che però d’ogni tènt a li guèrd, quèlli vèci, di santéssum, se campanèl sòura, che quant al sunéva al t’inzurléva, e a n finéva mai ad sunè, fintènt ch’u i è al chèrti dal melarènzi, che quèlli dabón, u i è quéi ch’i fa la coleziòun, e mè agli ò ‘lè, a n n’ò, ch’a n s còunta, e u n’è una coleziòun, quelle carte sono io
pòrbia ‘d fasúl
tu adesso devi diventare questo, poi dopo sarai quest’altro, tu rinasci cosí, tu rinasci cosà, che sgònd mè u n s capéss gnénca s’e’ dí se séri, s’e’ fa par zcòrr, mo poi, secondo me, sono tutte cose, ch’ l’è sémpra la stèssa roba, l’importante in fondo è rinascere, c’è questo desiderio, questo bisogno di, che éun insòmma, uno non vuol anarsene del tutto, lasciare, chiudere per sempre, dvantè pòrbia ‘d fasúl