Con la netta separazione di scienza e poesia la divisione del lavoro, già operata per loro mezzo, si estende al linguaggio. Come segno, la parola passa alla scienza; come suono, come immagine, come parola vera e propria, viene ripartita fra le varie arti, senza che si possa più ripristinare mediante la loro addizione, sinestesia o «arte totale». Come segno, il linguaggio deve limitarsi ad essere calcolo; per conoscere la natura, deve abdicare alla pretesa di somigliarrle. Come immagine, deve limitarsi ad essere copia: per essere interamente natura, abdicare alla pretesa di conoscerla.
[…]
Nell’imparzialità del linguaggio scientifico l’impotente ha perso del tutto la forza di esprimersi, e solo l’esistente trova il suo segno neutrale. Questa neutralità è più metafisica della metafisica. Infine l’illuminismo ha consumato non solo i simboli, ma anche i loro successori, i concetti universali, e non ha lasciata altro, della metafisica, che la paura del collettivo dalla quale essa è nata.
[Max Horkheimer, Theodor W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, 1944
trad. Renato Solmi, Giulio Einaudi 1997, pp. 25,30]