Il romanzo, di base, è un tipo di racconto antieroico. Ovviamente l’Eroe se n’è spesso appropriato, data la sua natura imperialista e il suo incontrollabile impulso ad appropriarsi di qualsiasi cosa e dominarla, emanando allo stesso tempo leggi e decreti severissimi atti a controllare l’incontrollabile impulso di distruggerla. E così l’Eroe ha decetato attraverso la bocca dei Legislatori che, punto primo: la forma appropriata della narrazione è quella di una freccia o di una lancia, che parte da qui per andare dritta lì e TATÀ! colpisce il bersaglio (e lo ammazza); punto secondo: l’istanza centrale della narrazione, compresi i romanzi, è il conflitto; e, punto terzo: la storia non vale granché se lui non ne fa parte.
Non sono d’accordo con niente di tutto questo. Vorrei spingermi oltre, fino a dire che la forma naturale, appropriata di un romanzo potrebbe essere quella di un sacco, una borsa. Un libro contiene le parole. Le parole contengono le cose. Portano significati. Un romanzo è come il fagotto sacro degli indiani, le cose che vi sono racchiuse hanno un rapporto particolare e potente sia tra di loro, sia rispetto a noi.
[Ursula K. Le Guin, La teoria letteraria del sacchetto della spesa
da I sogni si spiegano da soli. Immaginazione, utopia, femminismo, Sur 2022, p. 146]