una malignità del mondo

«La malignità degli oggetti». – Un inutile antropomorfismo. Si potrebbe parlare di una malignità del mondo; sarebbe facile immaginare che il mondo, o parte di esso sia opera del diavolo; e non è necessario immaginare un intervento diabolico caso per caso; tutto può avvenire «in conformità con le leggi naturali»; e allora l’intero progetto mira appunto fin dal principio al male. L’uomo però si trova in questo mondo, dove le cose vanno in pezzi, franano, provocano ogni sorta di sciagure. E naturalmente l’uomo stesso è una fra le tante cose.

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perché no?

Ed è bene ricordarsi che l’attività onirica non produce solo quei sogni importanti e trasformativi che si leggono nei trattati di psicologia: anzi, vi cresce una folta vegetazione di immagini e situazioni pazze a cui è difficile (e in fin dei conti, inutile e poco divertente) affibbiare un senso compiuto. Di solito i sogni più assurdi facciamo fatica a ricordarli, così come le storie più pazze sembra sempre che non valga la pena di scriverle. Ma in fondo perché no?

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un lavoro sporco

L’atteggiamento di Lovecraft non è quello di un romanziere. Quasi tutti i romanzieri immaginano che sia loro dovere dare un’immagine esaustiva della vita. Sono convinti che la loro missione sia quella di gettare “nuova luce”. Ma rispetto ai fatti non hanno altra scelta: sesso, denaro, religione, tecnologia, ideologia, distribuzione della ricchezza… un buon romanziere deve sapere tutto di queste cose. E tutto deve rientrare in una visione approssimativamente coerente del mondo. Il compito, ovviamente, è quasi impossibile per un essere umano, e il risultato quasi sempre deludente. È un lavoro sporco, quello del romanziere.

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il sospetto

Così come Kant intendeva porre le basi di una morale valida ‘non solo per l’uomo, ma per ogni creatura ragionevole in generale’, Lovecraft voleva creare una fantasia in grado di terrorizzare ogni creatura dotata di ragione. Kant e Lovecraft hanno d’altronde altri punti in comune; oltre alla magrezza e al gusto per i dolci, c’è il sospetto, più volte formulato, che non siano del tutto umani.

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non c’è bisogno

La vita è dolorosa e deludente. Non c’è quindi bisogno di scrivere altri romanzi realisti. Quando si parla di realtà in generale, sappiamo già con cosa abbiamo a che fare e non vogliamo saperne di più. L’umanità, così com’è, ispira solo una lieve curiosità.
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Quando sia ma la vita, non si legge. E non si va nemmeno al cinema. Checché se ne dica, l’accesso al mondo artistico è più o meno riservato a chi, della vita, ne è un po’ stufo.

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ogni bambino impegnato nel gioco

Dobbiamo provare a cercare le prime tracce dell’attività poetica già nel bambino? L’occupazione preferita e più intensa del bambino è il gioco. Forse si può dire che ogni bambino impegnato nel gioco si comporta come un poeta: in quanto si costruisce un suo proprio mondo o, meglio, dà a suo piacere un nuovo assetto alle cose del mondo. Avremmo torto se pensassimo che il bambino non prenda sul serio un tale mondo; egli prende anzi molto sul serio il suo gioco e vi impegna notevoli ammontari affettivi.

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il mondo non è solo una somma delle cose che contiene

Giocare con le parole significa semplicemente esaminare i meccanismi della mente, rispecchiare una particella del mondo così come la mente la percepisce. Analogamente, il mondo non è solo una somma delle cose che contiene. È la rete infinitamente complessa dei rapporti che la collegano. Come per i significati delle parole, le cose acquistano un senso solo mettendosi in relazione reciproca. «Due visi somiglianti, — scrive Pascal, — nessuno dei quali da solo fa ridere, fanno ridere insieme per la loro somiglianza».

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la sua vita non ha significato

Se un romanziere avesse utilizzato questi piccoli episodi dei tasti rotti (o l’incidente della chiave spezzata il giorno del matrimonio), il lettore sarebbe costretto a prendene nota, deducendo che il romanziere ha cercato di fornire indicazioni sui suoi personaggi o sul mondo. Si può parlare di significati simbolici, o di senso nascosto, o più semplicemente di artifici formali (perché quando la stessa cosa succede più di una volta, anche se è arbitraria, suggerisce un disegno, e una forma comincia a emergere). In un’opera di narrativa, si presuppone che dietro le parole scritte vi sia un’intelligenza cosciente. Invece di fronte agli eventi del cosiddetto mondo reale non si presuppone nulla. La storia inventata consiste totalmente di significati, mentre la storia reale è scevra di ogni significato oltre se stessa.
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C’è anche la tentazione, uguale e contraria, di guardare il mondo come se fosse un’estensione dell’immaginario. Talvolta ad A. è accaduto anche questo, ma non gli piace credere che sia una buona soluzione. Come tutti, anche lui anela a un significato. Come quella di tutti, la sua vita è così frammentaria che ogni volta che scorge un rapporto fra due frammenti ha la tentazione di attribuirgli un significato. Il rapporto esiste: ma dargli significato, guardare oltre il semplice dato del suo esistere, vorrebbe dire costruire un mondo immaginario all’interno di quello reale, e lui sa che l’operazione non regge. Nei momenti di maggiore coraggio, ammette l’assenza di significato come principio fondamentale, accettando la necessità di vedere che cosa ha davanti (seppure, contestualmente, dentro di sé) e di dire cosa vede. Si trova nella stanza in Varick Street. La sua vita non ha significato. Il libro che sta scrivendo non ha significato. Ci sono il mondo e le cose che si incontrano nel mondo, e parlare a loro vuol dire trovarsi nel mondo.

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