[…] tutta la scrittura dell’autore deve all’incontro con Thomas Bernhard, avvenuto nei mesi appena successivi all’entrata in scena del quaderno austriaco, almeno quanto deve a quello con Samuel B. Beckett, avvenuto molti anni prima, che non è inferiore a quello con Francis Bacon, risalente a quello con Beckett; laddove il primo gli ha insegnato che si può benissimo fare a meno dell’odiato cosiddetto discorso diretto, nonché della descrizione; il secondo, oltre a confermare l’impressione di essere nel giusto rinunciando, come abbiamo rinunciato, al discorso diretto, dato che esiste solo il monologo, non è altresì strettamente necessario rinunciare anche alla descrizione, a patto di essere pittorici e mai, ripeto mai didascalici; il terzo, che la pittura, così come la drammaturgia, non è mai narrativa, né tantomeno illustrazione e/o decorazione. Su che cosa effettivamente sia la scrittura, narrativa e/o drammaturgica, e la pittura, questa è un’altra di quelle cose di cui chi scrive deve tacere. Ma non è già molto sapere che cosa non è? Credo di sì, o almeno è abbastanza per me.
per così dire dal nulla
Nel lavoro di fotografo, ogni volta mi ha incantato il momento in cui sulla carta impressionata si vedono emergere, per così dire dal nulla, le ombre della realtà, proprio come i ricordi, disse Austerlitz, che affiorano anch’essi in noi nel cuore della notte e, per colui che li vuole trattenere, tornano rapidamente a oscurarsi in modo non diverso da una stampa fotografica lasciata troppo a lungo nel bagno di sviluppo.
lucidità
(203)
Avendo osservato con quale lucidità e coerenza logica certi pazzi (coloro che delirano in modo sistematico) giustificano per loro stessi e per gli altri le loro idee deliranti, ho perso per sempre la certezza della lucidità della mia lucidità.
la loro futura esistenza di rovine
Prima o poi, disse ancora, bisognerebbe catalogare i nostri edifici, ordinandoli secondo le dimensioni: si scoprirebbe subito che a prometterci almeno un barlume di pace sono proprio quelli collocati al di sotto delle normali dimensioni dell’architettura domestica – la capanna, l’eremo, le quattro mura del guardiano delle chiuse, la specola di un belvedere, la casetta dei bambini in giardino –, mentre di un edificio enorme, come ad esempio del Palazzo di giustizia di Bruxelles, su quello che una volta era il colle della forca, nessuno potrebbe sostenere a mente fredda che è di suo gradimento. Nel migliore dei casi lo si guarda meravigliati, e questa meraviglia è una forma preliminare di terrore, perché naturalmente qualcosa ci dice che gli edifici sovradimensionati gettano già in anticipo l’ombra della loro distruzione e, sin dall’inizio, sono concepiti in vista della loro futura esistenza di rovine.
le padelle non sono blu
Oggi è uscito un mio racconto a cui tengo, anche perché scritto in parallelo alla tesi di filosofia (ovviamente c’entra Wittgenstein): le padelle non sono blu
governatore della nuova onnipotenza
Una ventina di metri al di sopra della scalinata a forma di croce che unisce l’atrio ai binari (unico elemento barocco nell’intero complesso), là dove nel Pantheon si poteva vedere l’immagine del sovrano a diretto prolungamento del portale, proprio là si trova l’orologio; in quanto governatore della nuova onnipotenza, esso è situato ben al di sopra dello stemma reale e del motto Eendracht maakt macht. Dalla posizione centrale che l’orologio occupa nella stazione di Anversa si possono sorvegliare i movimenti di tutti i viaggiatori, mentre, per parte loro, i viaggiatori debbono alzare tutti lo sguardo verso l’orologio, costretti a regolare su di esso le proprie attività.
la tristezza durerà per sempre
Il titolo di questo volume, ‘La tristezza durerà per sempre’, viene dalle ultime parole pronunciate da van Gogh sul letto di morte. Condivido senza dubbio con van Gogh alcune malattie mentali, e condivido con lui anche questa magnifica frase. Eppure questo è un libro umoristico.
terapia di gruppo
quello sguardo fisso e indagatore
Degli animali alloggiati nel Nocturama, ricordo soltanto che alcuni avevano occhi straordinariamente grandi e quello sguardo fisso e indagatore, riscontrabile anche in certi pittori e filosofi i quali, per mezzo della pura intuizione e del puro pensiero, cercano di penetrare l’oscurità in cui siamo immersi.
un tipico rappresentante dei realisti
In un saggio sul realismo, Roman Jakobson scrive: «Si può porre a un bambino questo problema: “Un uccello è fuggito dalla gabbia. La distanza tra la gabbia e il bosco è tot, quanto tempo gli sarà necessario per raggiungere il bosco dal momento che viaggia alla velocità di tot metri al minuto?”. E ci si sentirà chiedere dal bambino: “La gabbia di che colore era?”. Il nostro bambino» conclude Jakobson «è un tipico rappresentante dei realisti nel senso di Dostoevskij».