Le cose saranno terribili dopo la guerra, chiunque sia il vincitore. Certo, sarebbe terribile se i nazisti vincessero, ma sarebbe terribilmente squallido se vincessero gli Alleati.
oblio
OBLIO. «… la lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio». Questa frase del Libro del riso e dell’oblio, pronunciata da un personaggio, Mirek, viene spesso indicata come il messaggio del romanzo. Il fatto è che in un romanzo il lettore riconosce anzitutto il «già noto». E il «già noto» di questo romanzo è il famoso tema di Orwell: l’oblio imposto da un potere totalitario. Ma l’originalità del racconto dedicato a Mirek non sta affatto qui. Mirek, che si adopera con tutte le sue forze perché non lo si dimentichi (lui, i suoi amici e la loro battaglia politica), fa al tempo stesso di tutto perché sia dimenticato l’altro (la sua amante di cui si vergogna). Prima di diventare un problema politico, la volontà di oblio è un problema antropologico: da sempre l’uomo aspira a riscrivere la sua biografia, a modificare il passato, a cancellare le tracce, sue e degli altri. La volontà di oblio è lungi dall’essere semplicemente la tentazione di barare. Sabina non ha motivo di nascondere alcunché, e tuttavia è spinta dal desiderio irrazionale di farsi dimenticare. L’oblio: ingiustizia assoluta e insieme consolazione assoluta. L’analisi romanzesca del tema dell’oblio è senza fine e senza conclusione.
a cosa serve?
tanimódi l’è tótta roba che, lo so, non serve a gnente, mo s’a duvéssmi buté véa tótt quèll che, tutto quello che non serve a niente, non si può, gnénca a vlai, u n s pò, uno sguardo, par déi, t’incòuntar una bèla ragaza, la guardi, a cosa serve? ma la televisiòun t sté d’avdài i campionèd europei d’atletica, i zént métar, i dusént métar, i quatarzént a ostacoli, il salto in alto, a cosa serve? o quant a véngh zò da la Marèccia, ch’ l’è bèla nòta, a vèggh San Maréin e Vrócc ch’ l’è tótt un lómm, e sòura al stèli, dal vólti a m’aférum, u s sint tènt ad chi gréll, a cosa serve?
u n’è una coleziòun
qui non è che uno rinasce, e poi rinasce e poi rinasce, cmè ch’è déi che pataca, qui è che non muori, fintènt ch’u i arvènza una scarana, una gravata, una bòcia d’inciòstar, svéita, sè, mo una bòcia d’inciòstar che ta l’é dróv tè, che t’é scrétt tè, fintènt ch’u i arvènza una cartuléina ch’u t’à mand un améigh véint trent’an fa, salutissimi da Venezia, fintènt ch’u i arvènza al lampadéini brusédi, ch’al t’à fat lómm ma tè, i cartéun de panetòun ad Nadèl, al scatli di sticadént, al cèvi vèci ch’al n’éirva piò gnént, mo al t’à vért tótt, fintènt ch’u i è al svegli, ch’a n n’ò, ad quèlli vèci, ch’al s carghéva, tric, tric tric, a n n’ò ènca do si nómar ch’i s’avdéva ènca ad nòta, adès a n n’ò óna a pila, quèlla ta n l cargh mai, znina, ròssa, che però d’ogni tènt a li guèrd, quèlli vèci, di santéssum, se campanèl sòura, che quant al sunéva al t’inzurléva, e a n finéva mai ad sunè, fintènt ch’u i è al chèrti dal melarènzi, che quèlli dabón, u i è quéi ch’i fa la coleziòun, e mè agli ò ‘lè, a n n’ò, ch’a n s còunta, e u n’è una coleziòun, quelle carte sono io
pòrbia ‘d fasúl
tu adesso devi diventare questo, poi dopo sarai quest’altro, tu rinasci cosí, tu rinasci cosà, che sgònd mè u n s capéss gnénca s’e’ dí se séri, s’e’ fa par zcòrr, mo poi, secondo me, sono tutte cose, ch’ l’è sémpra la stèssa roba, l’importante in fondo è rinascere, c’è questo desiderio, questo bisogno di, che éun insòmma, uno non vuol anarsene del tutto, lasciare, chiudere per sempre, dvantè pòrbia ‘d fasúl
la comparsa della letteratura
Infine l’ultima delle compensazioni al livellamento del linguaggio, la più importante e anche la più inattesa, è la comparsa della letteratura. Della letteratura in quanto tale, poiché a partire da Dante, da Omero, è pur sempre esistita nel mondo occidentale una forma di linguaggio che noialtri oggi chiamiamo “letteratura”. Ma il termine è di fresca data, come recente è altresì nella nostra cultura l’isolamento d’un linguaggio particolare la cui modalità propria è di essere “letterario”.
[…]
La letteratura è la contestazione della filologia (di cui pure è la figura gemella): riconduce il linguaggio della grammatica al potere spoglio di parlare, e ivi incontra l’essere selvaggio e imperioso delle parole. Dalla rivolta romantica contro un discorso immobilizzato nella sua cerimonia, fino alla scoperta mallarmeana della parola nel suo potere impotente, appare chiaramente quale fu, nel XIX secolo, la funzione della letteratura nei confronti del modo d’essere moderno del linguaggio. Sullo sfondo di tale gioco essenziale, il resto è effetto: la letteratura si distingue sempre più dal discorso di idee, e si chiude in una intransitività radicale; si stacca da tutti i valori che potevano nell’età classica farla circolare (il gusto, il piacere, il naturale, il vero), e fa nascere nel proprio spazio tutto ciò che può garantirne il diniego ludico (lo scandaloso, il brutto, l’impossibile).
[…]
Nel momento in cui il linguaggio, in quanto parola diffusa, diviene oggetto di conoscenza, eccolo riapparire sotto una modalità rigorosamente opposta: silenziosa, cauta deposizione della parola sul candore d’una carta, ove la parola non può avere né sonorità né interlocutore, ove non ha nient’altro da dire che se stessa, nient’altro da fare che scintillare nel bagliore del suo essere.
ironia
IRONIA. Quale personaggio ha ragione e quale torto? Emma Bovary è insopportabile? Oppure coraggiosa e commovente? Non c’è risposta. Il romanzo è l’arte ironica per definizione, il che significa: la sua «verità» è nascosta, non pronunciata e non pronunciabile. L’uomo desidera un’immagine semplificata del mondo dove il bene sia nettamente distinto dal male. Con l’eroismo donchisciottesco, il romanzo asseconda questa insopprimibile esigenza, svelandoci l’essenziale ambiguità delle cose umane. L’ironia non è la personale inclinazione di questo o di quello scrittore. Attiene al romanzo in quanto arte. L’ironia = il modo di far vedere l’ambiguità.
why
Why should we be saddened by the idea that this generation is deciding, consciously or unconsciously, not to reproduce the human race, as it is capable only of suffering or inflicting pain, torment and humiliation?
Why should we consider the becoming nothing of the human race a worse prospect than a continuation of all this horror and suffering?
l’unica voce reale della letteratura italiana
Si direbbe, Leopardi, l’unica voce reale della letteratura italiana, dopo Dante. È probabilmente più grande di Dante, perché egli – al cosiddetto reale – non crede più. La natura gli appare, nel suo aspetto usuale, inganno; il reale (di natura e uomo) distrutto. Così, la natura dei pensieri, unicamente la natura interiore dei sentimenti (e del sentimento di questa distruzione) si pone come reale.
definizione del diabolico
«A volte, ho l’impressione che anche le ombre prendano corpo, e anche il vento porti un cappello da prete. Ma non io, no, non io sono il diavolo».
«Né tu, né altri, ma solo la smodata capacità d’acquisto»