Satoshi Kon

paprika: due appunti

Scrivere di opere visive estreme che sfruttano il proprio media fino in fondo come quelle di Satoshi Kon o di Lynch (o Beckett) mi mette sempre in difficoltà, perché anche se si tratta sempre di un’interpretazione e non di una spiegazione mi sembra comunque fuori luogo.
Rivedere Paprika al cinema però non può non farmi pensare qualche considerazione da buttare giù in ordine sparso, l’unico ordine possibile.

Paprika è tanto il nome del film quanto della protagonista e anche della nostra esperienza, coincidenti in maniera meta come nei migliori dei casi. Noi, come lei, dobbiamo accettare che non torni tutto, andare oltre a una logica di spiegazione o una coerenza svolta sul piano del realismo conseguenziale proposto dal thriller tecnofilosofico.
Nonostante sia lei a curare gli altri, come da tropo è la dottoressa Chiba/Paprika a dover superare la propria durezza logica, la propria dualità personale che relega fuori da sé la propria follia (quella dei sogni, che però, come dice Paprika, non è meno importante nel nostro dare senso al nostro mondo), il proprio amore non conforme per un oggetto del desiderio “strano” come un genio obeso grande (fisicamente) il doppio di lei.
È quello il percorso da fare anche come spettatori: non rifugiarci in schemi logico-narrativi, easter eggs e spiegazioni para-filmiche, ma accettare ciò che il film ci dice anche senza verbalizzarlo, l’esperienza stessa della visione che trascende il linguaggio scritto e ci cambia senza che sia necessariamente cambiato il nostro vocabolario esplicito, come fanno le migliori opere d’arte.

Piccola nota a parte: anche gli altri personaggi fanno i loro percorsi di accettazione, compreso il cattivo che da difensore del mondo dei sogni ne diventa il custode in un modo di intendere “la libertà ma solo come la intendo io” molto attuale*, ma soprattutto il poliziotto ovviamente, in una storia che sembra in qualche modo preconizzare la storia di Kon stesso. È incredibile pensare che questo sia stato l’ultimo suo film, ma lui non lo sapesse e sarebbe morto ben quattro anni dopo nello stesso modo paventato in Paprika. Anche in questo caso l’accettazione che chiede al poliziotto è la stessa che chiede a noi, orfani della sua fantasia, quella fantasia che può davvero cambiare il mondo e lo cambia, in un modo o nell’altro, tutti i giorni, per sempre.

*tutto il parallelismo appena accennato ma così azzeccato tra il mondo dei sogni e internet** offre così tante letture ulteriori, feconde a vent’anni di distanza dall’uscita, in un mondo molto diverso da quello di Kon ma che aveva evidentemente visto qualcosa.

**”Don’t you think dreams and the internet are similar? They’re both areas where the repressed conscious mind vents.”