film

bad luck banging or looney porn: due appunti

in tempi di appiattimento televisivo ridotto a sottofondo da second screen è incredibile trovare un’opera in cui ognuna delle tre parti (cinque se consideriamo anche prologo ed epilogo) sfrutta fino in fondo il potenziale cinematografico e ricorda allo spettatore cosa può essere il cinema (o qualsiasi audiovisivo) oltre a una mera trasposizione mediale di storie già lette/sentite/viste. gli occhi sono incollati allo schermo, le orecchie ascoltano i suoni e non tanto/solo i dialoghi, e non per seguire una trama qualsiasi, un colpo di scena, una battuta salace. sfruttare a pieno (e in tre (cinque) maniere diverse) la potenzialità di questo mezzo espressivo è già un pregio a prescindere da tutto il resto (ok, come se si potesse scindere, ma per capirsi), ma poi c’è tutto il resto.

la prima parte semi-documentaristica e non didascalica conduce alla terza parte brechtiana (con tocchi/installazioni da teatro dell’assurdo) quasi come fosse una conseguenza inevitabile, soprattutto se filtrati per la seconda parte teorica, godardiana, dove si gioca con le parole e le immagini con ironia, intelligenza, abilità spiazzanti e per questo meravigliose. tre parti impossibili da riassumere davvero proprio per la loro pregnanza e attinenza al medium espressivo utilizzato. se ne potrebbe fare l’analisi accurata, ma anche quella sarebbe solo una trasduzione su un altro piano, e poi non ho voglia di farla. un ultimo appunto: l’utilizzo operativo e creativo del covid, non tematizzato ma usato come sfondo anch’esso, sfruttato nelle sue possibilità (le mascherine e l’interazione con le stesse come esplicitazione del carattere di ogni personaggio, sia in maniera brechtiana/teatrale che nelle espressioni fastidiosamente realistiche note a ciascuno di noi, da quello che se la toglie troppo a quello che ricorda troppo di tirarla su, anche come mosse retoriche all’interno di un dialogo che si fa filosofico ma anche autoironico e totalmente dialettico, mai risolto o didascalico).

infine il contenuto, appunto, e questo film colpisce nel segno uno spettatore italiano, perché quella romania è l’italia attuale, per filo e per segno – non c’è differenza nei suv, nella violenza verbale, nei preti, nei generali fascisti, nell’ipocrisia perbenista, nelle squallide pubblicità onnipresenti da periferia dell’impero, nelle immagini della dittatura di cui non ci si riesce a liberare (nonostante da noi siano passati molti più anni).

avrei voluto vederlo al cinema, magari negli affollati cinema berlinesi, per cogliere al volo l’indignazione perbenista delle stesse persone rappresentate dal film, ma che sono tutte intorno a noi, sono come noi, ma si sentono meglio

the substance: due appunti

visto ieri sera, è dichiaratamente una favola grottesca* ed è formalmente coerente dalla prima inquadratura all’ultima, quindi mi sembra che molte critiche lette in giro non colgano proprio il punto (chi cerca realismo in una favola?**) – l’unica critica su questa linea che potrei condividere in una prima istanza è quella di quando [SPOILER] sono entrambe sveglie verso la fine, apparentemente rompendo un meccanismo interno alla trama, ma di nuovo: non siamo nel campo dell’hard sci-fi, ma della favola: è tutto allegorico, e quella è una rappresentazione più evidente che mai (ci torno) dell’animo scisso della protagonista, giunta all’apice della schizofrenia [/SPOILER]

condivido invece la critica di didascalismo: non ce la possono fare, io accetto/apprezzo anche la tamarraggine, però non è questo il punto: tutto è ribadito, ripetuto, spiegato allo sfinimento – una mia personale crociata è contro le faccine in dissolvenza che ricordano una scena vista esattamente cinque minuti prima (questo è uno stilema/malattia di tutto il cinema americano, mi rendo conto, ma la odio, sempre da sempre)

trovo molto calzante chi sottolinea l’antidualismo del film, l’aspetto che forse me lo fa piacere di più: secondo una visione cartesiana la mente dovrebbe essere la stessa, ma chiaramente si comporta diversamente a seconda del corpo in cui si trova, antidualismo che spiana la strada alla proiezione come metafora su altre possibili significazioni (ecologica con essere umano/sue che sfrutta la terra/elizabeth)

l’aspetto cinematografico: pop, tamarro, eccessivo, citazionista, grottesco -> a me alla fine è piaciuto (a parte il fatto che, come tutti i film americani dell’ultimo decennio, poteva durare meno) / design ottimo (per quel che ci capisco) / suono anche: bellissima Anna von Hausswolf sul finale

*come Barbie, come Poor things, si potrebbe riflettere sul perché i cosiddetti film femministi americani ricorrano sempre a questo tipo di narrazione, rifuggendo ogni realismo, che pure potrebbe mostrare forse anche meglio il maschilismo della nostra società (poi la critica non è ai film in sé, né allo sfogo fantastico o alla struttura fiabesca, tutte cose che mi piacciono)

**ho letto sia critiche femministe che maschiliste:
– prima le seconde: gli uomini sono tutti grotteschi? *tutti* i personaggi tranne lei/loro sono grotteschi – sono tutti uomini? lei vive chiaramente in un mondo infestato da uomini che determinano non solo la visione del mondo ma persino la visione che ha lei di se stessa (v. Atwood***) – e non è realismo questo?
– le critiche femministe sull’iper-sessualizzazione della donna? ma è proprio quello il punto del film, è tutto dal punto di vista di lei, e lei stessa si sessualizza (vedi sopra) e vive la propria carriera (e vita, non c’è altro oltre alla carriera, come si evince dalla settimana da vecchia!) tramite la propria sessualità (e non è ovviamente una colpa, anzi, è il mondo che lo esige da lei e lei interiorizza): sono contento che il film non moralizzi sulla protagonista ma stia sempre (proprio sempre, anche nell’ultimo atto) dalla sua parte – il mostro è la vecchiaia, la chirurgia estetica, non importa, il confronto impossibile con gli standard della gioventù/televisione/società – amatela sempre e comunque, è lei, è la nuova carne

***“You are a woman with a man inside watching a woman. You are your own voyeur.”

(detto questo, per me ok, non capo ma neanche disastro)

Nuove lingue per nuovi contesti

L’altro giorno, vedendo Parasite (il nuovo film di Bong Joon-Ho, capolavoro), ho fatto caso ai personaggi che ricorrevano all’inglese per frasi fatte (presumibilmente mutuate a loro volte da film) e contesti preconfezionati, come ad esempio i colloqui di lavoro.
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Il perturbante che migliora la vita

In questi giorni, per un motivo o per l’altro, ho riguardato le prime due puntate di Neon Genesis Evangelion e mi sono ricordato di uno dei (tanti) momenti perturbanti di questa serie-anime (la migliore di tutti i tempi, a scanso di equivoci), uno di quei momenti di smarrimento che poi ricorderò come bellissimi, come l’alba di una nuova era della (mia) mente.
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