un mondo precario

Tutti i giorni sentiamo parlare di precarietà. La gente perde il lavoro o si arrabbia perché non è mai riuscita ad averne uno. Gorilla e delfini di fiume rischiano l’estinzione. L’innalzamento dei mari sommerge intere isole del Pacifico. Ma quasi sempre pensiamo a tale precarietà come a un’eccezione in un mondo che funziona, a qualcosa che «esce di scena», che abbandona il sistema. E se invece, come suggerisco io, tale precarietà è la condizione dei nostri tempi? Oppure, per dirla in un altro modo, e se i nostri tempi sono maturi per una sensibilità verso la precarietà? E se la precarietà, l’indeterminazione, e tutto quel che di norma consideriamo poco importante sono il centro della sistematicità che cerchiamo?
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Pensare attraverso la precarietà cambia l’analisi sociale. Un mondo precario è un mondo senza teleologia. L’indeterminazione, la natura imprevedibile del tempo, spaventa, ma pensare attraverso la precarietà evidenzia anche che l’indeterminazione rende la vita possibile.


[Anna Lowenhaupt Tsing, Il fungo alla fine del mondo
trad. Gabriella Tonoli, Keller Editore 2021, pp. 47-48]