INESPERIENZA. Il primo titolo dell’Insostenibile leggerezza dell’essere: «Il pianeta dell’inesperienza». L’inesperienza come qualità della condizione umana. Nasciamo una volta per tutte e non potremo mai ricominciare un’altra vita con le esperienze della vita precedente. Usciamo dall’infanzia senza sapere che cos’è la giovinezza, ci sposiamo senza sapere cosa vuol dire essere sposati, e persino quando entriamo nella vecchiaia non sappiamo dove stiamo andando: i vecchi sono bambini ignari della loro vecchiaia. Da questo punto di vista, la terra dell’uomo è il pianeta dell’inesperienza.
e’ rest
non esiste un criterio
Amare il deserto, amare l’azzurro del mare, amare il candore delle navi, mi pareva possibile. Amare la gente, invece, mi pareva più arduo. Detestarla, no, d’accordo. Ma proprio amarla, quella gente che si muove, parla, si agita, fa rumore, esige, desidera, muore. Mi sembrava piuttosto comico. Qual è lo scopo del desiderio? Qual è lo scopo dell’odio, del massacro o anche solo della conversazione? Ci trasciniamo nell’inspiegabile. Aspettare. Avere fiducia. Con il cuore pieno di amore. Esistevano, i cuori. No, non avevo paura. Non era la paura a impedire, a bloccare il mio slancio. E poi, anche se avessi avuto paura. È umana, la paura. “È umana, è umana” e scoppiai a ridere. La parola “umana” mi faceva morire dal ridere. Per decidere se avere paura o meno, non esiste un criterio.
sotto altre macerie
Povera Lucienne, a credere che in altre condizioni avremmo potuto farcela. Non ci sono condizioni oggettive. Ho mai sentito un fuoco ardente covare sotto la brace? Macché… Ho un bell’interrogare il mio animo, sondarlo, non vi scopro nessuna vibrazione profonda. Negli spazi grigi della mia interiorità, ci sono soltanto macerie, sotto altre macerie, sotto altre macerie. Ma se ci sono le macerie, forse una volta c’è stato un tempio, colonne luminose, un altare ardente? È solo una supposizione. Forse non c’è mai stato altro che il caos.
la voce che non comanda
[Orfeo e Narciso] non sono diventati gli eroi civilizzatori del mondo occidentale – la loro è una immagine di gioia e di compimento: la voce che non comanda ma canta; il gesto che offre e riceve; l’azione che è pace e che conclude il lavoro di conquista; la liberazione dal tempo, che unisce l’uomo al dio, l’omo alla natura. La letteratura ha conservato la loro immagine.
un livello di vita sempre più alto
Che la liberazione sia condizionata da un livello di vita sempre più alto, è un argomento che serve con troppa facilità a giustificare la perpetuazione della repressione. Determinare il livello di vita in termini di automobili, apparecchi televisivi, aeroplani e trattori, è tipico del principio di prestazione stesso.
elitarismo
ELITARISMO [élitisme]. La parola élitisme compare in Francia solo nel 1967, la parola élitiste [‘elitista’] solo nel 1968. Per la prima volta nella storia, è la lingua stessa a mostrare la nozione di élite sotto una luce negativa se non spregiativa.
Nei paesi comunisti la propaganda ha cominciato a stigmatizzare insieme l’elitarismo e gli elitisti. Con queste parole, prendeva di mira non già imprenditori, sportivi famosi o politici, ma esclusivamente l’élite culturale, filosofi, scrittori, professori, storici, uomini di cinema o di teatro.
Sorprendente sincronia. Viene da pensare che in tutta Europa l’élite culturale stia lasciando posto ad altre élite. All’élite dell’apparato di polizia, laggiù. All’élite dell’apparato dei mass media, qui. Nuove élite cui nessuno muoverà l’accusa di elitarismo. Così la parola élitisme cadrà ben presto nell’oblio.
il diluvio
pubblicità pietrificata
La sua vittoria [della pubblicità] è così completa che essa, nei punti decisivi, non ha più nemmeno bisogno di diventare esplicita: i palazzi monumentali dei giganti, pubblicità pietrificata sotto la luce dei riflettori, sono privi di réclame, e tutt’al più si limitano ad esporre, sui merli delle loro torri, fulgide e lapidarie, senza bisogno di elogi o di autoincensamenti superflui, le iniziali della ditta. Mentre le vecchie case sopravvissute dal secolo scorso, sulla cui architettura si scorgono ancora i segni umilianti della loro destinazione utilitaria di beni di consumo, e cioè lo scopo dell’abitazione, vengono sistematicamente ardellate, dal piano terreno fino sopra il tetto, di manifesti e di striscioni pubblicitari; e il paesaggio si riduce a fungere da sfondo di cartelli e insegne. La pubblicità diventa l’arte per eccellenza, a cui Goebbels, col suo fiuto infallibile, l’aveva già equiparata, l’art pou l’art, pubblicità di se stessa, pura esposizione del potere sociale.
l’amusement
L’amusement è il prolungamento del lavoro nell’epoca del tardo capitalismo. Esso è cercato da chi aspira a sottrarsi al processo lavorativo meccanizzato per essere poi di nuovo in grado di affrontarlo e di essere alla sua altezza. Ma nello stesso tempo la meccanizzazione ha acquistato un potere così grande sull’uomo che utilizza il suo tempo libera e sulla sua felicità, essa determina in modo così integrale la fabbricazione dei prodotti di svago, che egli non è più in grado di sperimentare altro che le copie e le riproduzioni dello stesso processo lavorativo. Il preteso contenuto è solo un esile pretesto: ciò che si imprime realmente negli animi è una sequenza automatizzata di operazioni prescritte. Al processo lavorativo nella fabbrica e nell’ufficio si può sfuggire solo adeguandosi ad esso nell’ozio. Da questo vizio originario è affetto incurabilmente ogni amusement. Il piacere del divertimento si irrigidisce in noia, poiché, per poter prestare piacere, non deve costare altri sforzi, e deve quindi muoversi strettamente nei binari delle associazioni consuete. Lo spettatore non deve lavorare di testa propria; il prodotto gli prescrive ogni reazione: non in virtù del suo contesto oggettivo (che si squaglia, appena si rivolge alla facoltà pensante), ma attraverso una successione di segnali.
la riproduzione del sempre uguale
Ratificando furbescamente la richiesta di prodotti dozzinali, esso inaugura l’armonia totale. Giudizio critico e competenza specifica sono messi al bando, e bollati come la presunzione di chi si crede superiore agli altri, mentre la cultura, che è così democratica, ripartisce equamente i suoi privilegi fra tutti. Di fonte alla tregua ideologica che si è instaurata, il conformismo dei consumatori, come l’impudenza della produzione che essi tengono in vita, acquistano, per così dire, una buona coscienza. Esso si accontenta della riproduzione del sempre uguale.