e’ rest

la questione di chi l’adopera

Finché si prescinde dalla questione di chi l’adopera, la ragione non è più affine alla violenza che alla mediazione, e secondo la diversa situazione dell’individuo e dei gruppi, essa fa apparire come «il dato» la pace o la guerra, la tolleranza o la reppressione. E smascherando i fini oggettivi come potere della natura sullo spirito, come minaccia alla propria legislazione autonoma, essa rimane, nella sua neutralità a disposizione di ogni interesse naturale. Il pensiero diventa completamente un organo, retrocede a natura. Ma per i potenti gli uomini diventano un «materiale», come l’intera natura per la società.

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l’introversione del sacrificio

Il dominio dell’uomo su se stesso, che fonda il suo Sé, è virtualmente ogni volta la distruzione del soggetto al cui servizio esso ha luogo, poiché la sostanza dominata, oppressa e dissolta dall’autoconservazione, non è altro che il vivente, in funzione del quale soltanto si definiscono i compiti dell’autoconservazione, e che è proprio ciò che si tratta di conservare. L’assurdità del capitalismo totalitario, la cui tecnica di soddisfazione dei bisogni rende – nella sua forma oggettivata e determinata dal dominio – quella soddisfazione impossibile e tende alla distruzione dell’umanità: quest’assurdità è esemplarmente performata nell’eroe che si sottrae al sacrificio sacrificandosi. La storia della civiltà è la storia dell’introversione del sacrificio.

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confine

CONFINE. «Bastava così poco, così infinitamente poco per trovarsi al di là del confine oltre il quale nulla aveva più senso: l’amore, le convinzioni, la fede, la storia. Tutto il mistero della vita umana è nel fatto che essa si svolge in prossimità immediate, persino a contatto diretto con questo confine, che ne è separata non da chilometri, ma da un millimetro appena» (Il libro del riso e dell’oblio)

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il mondo senza uscita

Il panico meridiano, in cui gli uomini si rendevano improvvisamente conto della natura come totalità, ha il suo corrispettivo in quello che, oggi, è pronto a scoppiare ad ogni istante: gli uomini attendono che il mondo senza uscita sia messo in fiamme da una totalità che essi stessi sono e su cui nulla possono.

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la netta separazione di scienza e poesia

Con la netta separazione di scienza e poesia la divisione del lavoro, già operata per loro mezzo, si estende al linguaggio. Come segno, la parola passa alla scienza; come suono, come immagine, come parola vera e propria, viene ripartita fra le varie arti, senza che si possa più ripristinare mediante la loro addizione, sinestesia o «arte totale». Come segno, il linguaggio deve limitarsi ad essere calcolo; per conoscere la natura, deve abdicare alla pretesa di somigliarrle. Come immagine, deve limitarsi ad essere copia: per essere interamente natura, abdicare alla pretesa di conoscerla.
[…]
Nell’imparzialità del linguaggio scientifico l’impotente ha perso del tutto la forza di esprimersi, e solo l’esistente trova il suo segno neutrale. Questa neutralità è più metafisica della metafisica. Infine l’illuminismo ha consumato non solo i simboli, ma anche i loro successori, i concetti universali, e non ha lasciata altro, della metafisica, che la paura del collettivo dalla quale essa è nata.

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comico

COMICO. Offrendoci la bella illusione della grandezza umana, il tragico ci consola. Il comico è più crudele: ci rivela brutalmente l’insignificanza di tutto. Suppongo che tutte le cose umane abbiano un aspetto comico, che in certi casi è di solito noto, ammesso, sfruttato, in altri casi velato. I veri genii del comico non sono quelli che ci fanno ridere di più, ma quelli che svelano il lato ignoto del comico.

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a questo servono le opere d’arte

L’arte ha il dovere sociale di dare sfogo alle angosce della propria epoca. Un artista che non ha accolto nel fondo del suo cuore il cuore della propria epoca, l’artista che ignora d’essere un capro espiatorio, e che il suo dovere è di calamitare, di attirare, di far ricadere su di sé le collere erranti dell’epoca per scaricarla del suo malessere psicologico, non è un artista. Come gli uomini, anche le epoche hanno un inconscio. E quelle oscure parti dell’ombra di cui parla Shakespeare hanno una vita, una propria vita che bisogna estinguere. A questo servono le opere d’arte.

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