Bugonia potrebbe essere semplicemente un film con il twist, molto simile a 10 Cloverfield lane*: cosa succede se il classico sequestratore pazzo è sì un sequestratore pazzo ma ha anche ragione? una non esclude l’altra – e ok, questo è un primo livello per scardinare il pensiero binario, banale e consolatorio, ma per fortuna Bugonia va un po’ oltre e non riduce la cosa a un gimmick
(anzi, come spesso succede con i film di registi un po’ più complessi/spessi c’è sempre più di un modo di vedere la cosa, più di un taglio semiotico per analizzare il film)
ma non c’è dubbio che quello sia il primo passo per un film che punta chiaramente alla crisi epistemica nella quale siamo immersi (in maniera fin troppo esplicita? per una volta mi va bene)
e quindi crisi epistemica: non solo il pazzo complottista in un certo senso ha ragione: quella è un’aliena che finirà per distruggere la vita umana – ma è anche molto più pazzo di quello che sembra – ma anche più vittima di quello che sembra a prima vista – ma anche più consapevole
ha attraversato tutto lo spettro, non è (solo) questione di schieramenti ma di modi di pensare, di vivere, di subire.
le domande si affollano, non le risposte, come tutto attorno a noi: quanto può subire un essere umano senza cercare dei responsabili (qui il punto non sono le colpe o la verità)? quanto di questo è vendetta e quanto delirio epistemico (qui entrano i giudizi morali)? quanto ha ragione nei bersagli*** e magari non nei metodi (qui entrano le strategie)?
non abbiamo un punto fisso né una soluzione: gli alieni ambientalisti/paternalisti si sovrappongono agli imprenditori spietati e altrettanto terrificanti**, dovrebbero essere le nemesi l’uno dell’altro: l’alieno che valuta il fallimento dell’essere umano capitalista che punta dritto all’autodistruzione da una parte e la figura così familiare dell’imprenditore postumano che punta alla crescita infinita (individuale) distruggendo tutto ciò che lo circonda, ma il risultato finale è sempre quello: la distruzione dell’essere umano – chi paga sono tutti, a partire dai poveracci protagonisti del film, carnefici che fanno più pietà che paura, nonostante ricalchino lo stereotipo del carceriere folle da film thriller/horror americano (compreso twist finale che aggrava la sua situazione)
ma questo, come detto all’inizio, non è solo un ribaltamento dello stereotipo, quanto il mostrare una condizione esistenziale, epistemica, politica, il fondo di un pozzo nel quale ogni movimento è sbagliato e non può che portare ad affondare un po’ di più – una condizione così diffusa che è difficile non riconoscervi l’intera società occidentale
* a parte quel finale insensato attaccato con lo sputo per fare quella cosa del franchise che lasciamo perdere
** probabilmente di più, anche dal punto di vista estetico, almeno in questo film
*** un altro taglio di lettura è chiaramente quello del genere: sono due maschi poveri che rapiscono e torturano una donna ricca: i rimandi a casi reali non mancano, e l’ambivalenza della loro auto-castrazione chimica non solleva l’ombra del pensiero incel da tutto questo, anzi

