esercizi di stile: precisazioni

Vado in ufficio, al lavoro, un ufficio da dipendente, per una grossa ditta, non sono certo un libero professionista. E ci vado in bici, una bici da città, non bici da corsa e non mountain bike, e neanche una KTM. Nel tragitto ascolto i Coil, non i Lacuna Coil, e neanche i This Mortal Coil, attenzione. E neppure i This Immortal Coil, quanta confusione. E fa freddo, saranno zero gradi. Forse uno, non di più, ma neanche di meno.
Mi tolgo il cappello e sono a metà della seconda manica del cappotto, la destra, quando mi chiama il capo. Mi chiama attraverso la porta, che i nostri uffici sono ai lati opposti del corridoio, con le porte che si guardano. E le porte sono aperte, specie la mattina o quando non siamo in riunione, e in questo momento non siamo in riunione nessuno dei due.
Mi chiama e mi dice cose molto imprecise, sulle quali non saprei precisare. Oserei dire che vagheggia, fa discorsi strani, senza capo né coda. Le uniche informazioni utili che ricevo riguardano una nuova applicazione software, per computer, sistema operativo Windows, usiamo quello in ufficio, che abbiamo comprato da poco, una settimana, otto giorni per essere precisi.
E dopo un sacco di domande, direi tredici, capisco che il capo, che poi è il caporeparto, non il capo di tutta la ditta, sopra di lui nell’organigramma dell’azienda ci sono altri tre livelli gerarchici, insomma il capo vuole che io scriva l’analisi tecnica e dei requisiti di questa applicazione software.
C’è da dire che questi sono documenti solitamente redatti dalla ditta che sviluppa il software in prima persona, e non da un dipendente dell’azienda cliente, ovvero io. Secondo il mio capo, dovrei fare una lunga e complessa operazione di reverse engineering, ma non credo sia il caso.
Più precisamente, passo due ore della mattina e un’altra ora e ventitre minuti del pomeriggio a mandare mail al personale della software house che ha sviluppato l’applicazione per noi. Quando riesco a parlare con il programmatore, non il progettista, non l’analista, ma il programmatore referente, lui sì che ha questi documenti. Due pdf da ventisette e diciannove pagine l’uno, rispettivamente. Figuriamoci se dovevo scriverli io.
Inoltro, non copio, la mail del programmatore referente al mio capo reparto e poi vado nel suo ufficio, ovvero attraverso il corridoio. Gli faccio notare che nella mail ho allegato i due documenti da lui richiesti e quello mi ringrazia, non una, ma due volte.

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