Is there no alternative?

Letto anche Capitalist Realism di Mark Fisher.

Diciamo che chiudo qui il trittico di critici (più o meno) contemporanei del capitalismo, dopo Federico Campana e gli accelerazionisti americani. Tutti e tre i libri (L’ultima notte, Inventare il futuro, Capitalist Realism) sono simili per la posizione critica sistemica, ma non per le conclusioni avanzate/proposte/ipotizzate. In particolare Fisher evidenzia (in maniera un po’ disomogenea, ma decisamente più chiara e leggibile di Nick Srnicek e Alex Williams) le contraddizioni e le storture del neoliberismo che pare aver plasmato il nostro immaginario negli ultimi 30 anni, tanto da non lasciare alternativa, neanche ipotetica o immaginaria. Non tocca molto il tema del lavoro (tema a me caro e più centrale negli altri due saggi), ma si concentra sui devastanti risultati psicologici delle suddette contraddizioni. Aiuta/stimola nella lettura l’immaginario pop, nel senso di citazioni letterarie e cinematografiche sparse fra i capitoli (aiuta anche il ritrovarmi completamente nell’immaginario/opere/autori citati), ma soprattutto la capacità di spiegare in passaggi chiari e semplici concetti che ho sempre avuto sulla punta della lingua, ma non sono mai riuscito ad analizzare/riassumere così bene da solo. Poche frasi che bastano a decostruire un sistema folle al quale però aderiamo e contribuiamo più o meno inconsapevolmente ogni giorno.

Si tratta ancora una volta di un punto di vista molto interessante e istruttivo, diversi i passaggi da evidenziare per la lucidità, ma in particolare ho apprezzato l’idea del Big Other (se ho capito bene ripresa da Žižek, che a sua volta ha ripreso Lacan): cioè quel meccanismo perverso di collective fiction, struttura simbolica presupposta da ogni strato sociale, per la quale (ad esempio) tutti andiamo al lavoro sapendo benissimo di farlo esclusivamente per i soldi, ma dovendo fingere di crederci un sacco e di farlo per chissà quali aspirazioni di carriera e “crescita personale”, e guai a chi mostrasse il re nudo.

E poi Kafka, Deleuze, il capitalismo rizomatico, il problema della falsa decentralizzazione (sul sistema e sulla psiche), la depressione non (solo) come un problema personale/familiare/chimico ma sistemico.

“Depression is usually characterized as a state of anhedonia, but the condition I’m referring to is constituted not by inability to get pleasure so much as it by an inability to do anything else except pursue pleasure. There is a sense that ‘something is missing’ – but no appreciation that this mysterous, missing enjoyment can only be accessed beyond the pleasure principle.”

(e qui parte Gary Numan)