Orwell vs La casa di papel

Sono un po’ OT, ma guardando La casa di papel (ebbene sì) mi viene in mente continuamente Omaggio alla Catalogna di Orwell (appena finito*: Orwell saggista/cronista > Orwell romanziere, ma si sapeva già), il quale avrebbe commentato “queste cose possono succedere solo in Spagna”.

Volendo si potrebbe astrarre di un livello il commento e riferirlo agli sceneggiatori (questo però sarebbe ingiusto, visti i parti nostrani, ma anche americani (The affair 3, ti penso sempre!)) che prendono come riferimento I soliti sospetti + Death note ma riescono a farne una gara al ribasso anziché al rialzo fra due menti tutt’altro che eccelse. Mi dispiace un po’ perché il genere mi piace e l’idea (il rubare qualcosa che non è di nessuno, cercare+esporre le falle sistemiche, giocarci e giocare con l’opinione pubblica) secondo me poteva essere intrigante e sfruttata molto (molto) meglio, ma poi nei fatti è scritto dagli sceneggiatori democratici di Boris, e quindi è andata così (e continuo a guardarlo soltanto perché è in spagnolo).

*brevi appunti al riguardo:
– Orwell riesce a essere asciutto e ironico anche nei frangenti più estremi (evocando bellissime immagini come quella di lui che legge gialletti in trincea perché si annoia), ma senza mai sfociare nel cinismo, anzi assolvendo puntualmente i singoli, anche quelli che gli hanno sparato addosso (letteralmente): “non odio te, odio quelli come te”.
– volendo si possono trovare parallelismi con una situazione attuale: paura del fascismo a cui si antepono solo ed esclusivamente un capitalismo quasi altrettanto deleterio, come se non ci fosse alternativa (e fra le alternative tutt’ora si ripropongono i filoni di anarchici e marxisti, pur andando ancora molto d’accordo, vista la totale irrilevanza nel quadro generale)
– incredibile l’ennesima profezia avveratasi di Orwell con la chiusura da Cassandra del 1936:

Le città industriali erano lontanissime, macchia di fumo e di miseria nascosta dalla curva della superficie terrestre. Quivi era ancora l’Inghilterra della mia infanzia: la linea ferroviaria scavata nella parete rocciosa e nascosta dai fiori di campo, i prati profondi ove i grandi cavalli lustri pascolano meditabondi, i lenti rivi orlati di salici, i verdi seni degli olmi, le peonie nei giardini dei cottages; e poi l’immensa desolazione tranquilla della Londra suburbana, le chiatte sul fiume limaccioso, le strade familiari, i cartelloni che annunciano gare di cricket e nozze regali, gli uomini in cappello duro, i colombi di Trafalgar Square, gli autobus rossi, i policemen in blu: tutto dormiente del profondo, profondo sonno d’Inghilterra, dal quale temo a volte che non ci sveglieremo fino a quando non saremo tratti in sussulto dallo scoppio delle bombe.