Ieri sera ho visto un film horror al cinema, non so da quanto tempo non succedeva.
Il film in questione è It follows, del giovane regista americano David Robert Mitchell.
La trama è semplice: una maledizione trasmettibile tramite il sesso fa sì che si venga seguiti (lentamente ma inesorabilmente) da una “cosa” che assume sembianze diverse a seconda di chi la vede (e solo i maledetti la possono vedere) e che soprattutto punta ad ammazzare nei modi più disparati le proprie vittime.
Poteva essere un teen horror qualsiasi, ma.
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Dieci dicembre
Pochi giorni fa ho finito Dieci dicembre di George Saunders, il caso editoriale del 2013.
Io i casi editoriali li leggo in differita, quando li leggo.
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Esortazione
Mettiamo di dover pulire uno scaffale. Serviamoci di questo esempio. Se l’ora prima di pulire lo scaffale la passiamo a criticare l’operazione pulitura-scaffale, a lamentarci, ad angosciarci, a sviscerare le implicazioni morarli della pulitura-scaffale e chi più ne ha più ne metta, cosa succede? Succede che rendiamo l’operazione pulitura-scaffale più difficile di quanto sia in effetti. Sappiamo tutti benissimo che lo «scaffale» verrà pulito, vista l’aria che tira, da noi o dal tizio che ci sostituirà e incasserà la nostra paga, per cui la questione si riduce a: Voglio pulirlo col sorriso sulle labbra, questo scaffale, o pulirlo col muso lungo? Quale dei due approcci sarebbe più efficace per me? Quale dei due mi consentirebbe di raggiungere il mio obiettivo con più efficacia? Qual è il mimo obiettivo? Essere pagato. Come raggiungo il mio obiettivo con maggiore efficacia? Pulendo lo scaffale, presto e bene. Quale stato d’animo mi aiuterà a pulire lo scaffale presto e bene? Domanda: quello negativo, uno stato d’animo negativo? Sapete benissimo che la risposta è no. Per cui il mio discorso in soldoni è: positività. Grazie a uno stato d’animo positivo potrete pulire il suddetto scaffale presto e bene. E dunque raggiungere l’obiettivo di essere pagati.
Le letture dell’estate
Riassunto delle letture di agosto (perché l’estate è solo quando fa caldo e non si lavora, almeno credo).
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Il pensiero del suicidio
Il pensiero del suicidio arriva verso sera, quasi a orario fisso. A quest’ora è più attraente. Quando declina il giorno aumenta la sua forza di seduzione e penetra sotto la pelle come la linfa tropicale, ammorbidisce i muscoli, distende le viscere, trascina la testa verso le budella, dissolve le ossa, mi colma di ribrezzo dolciastro, abbandonarsi al quale è nauseabonda lascivia. Una cosa posso configgergli dentro: il mio affetto inquieto per mia madre.
Nonché la mancanza dei mezzi. Il revolver di mio padre: ma lo tiene in cassaforte. Ho mancato di procurarmene uno mio: di questi tempi è abbastanza difficile. Eppure è il modo più vantaggioso, a causa della sua praticità, la pulizia e l’indicibilmente semplice colpo, dopo il quale immagino un silenzio profondo e niente altro. Tutto prevede altro lavoro e tribolazione. Impiccarsi: la scelta della corda, poi un posto buono sotto il soffitto, poi la realizzazione del nodo e la prova — e poi ancora la sedia che devo pure cacciarmi di sotto? Poi lo scricchiolio — e qui non potrei più oppormi alla visione, a questa inevitabile scortesia che farei agli occhi dei miei cari. Povera mamma!… Oppure gettarmi sul Grande Viale. Ma il volo, il tempo di arrivare giù, la visione, come l’asfalto si avvicina ai miei occhi con un unico strattone e, poi, quell’urlo! — I farmaci, poi, mi fanno schifo.
Certo, anche la vita è un modo per suicidarsi: lo svantaggio è che dura formidabilmente a lungo.
Pesaro-Gabicce (e oltre)
Ieri ero lì che mi guardavo Bolt venire investito da un cameraman cinese (dopo aver dominato i 200 alla faccia di Gatlin), quando suona il campanello il mio amico G.
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Un posto carnascialesco
Io pensavo essere in una situazione che te t’immagini che sei nel posto della malattia che quando esci da quel posto lì ti trovi nel posto della salute, invece sei nel posto della salute che quando esci da quel posto lì ti trovi nel posto della malattia.
Star lì in ospedale, mi dice Mario, sei venuto fuori proprio privo del minimo senso dell’umorismo. Sei forse lettone, di origine? mi chiede.
Eh, gli dico, forse c’è il caso.
Altre cose ancora
Come andare in bici senza paura della polizia, mangiare il cocomero in giardino, lavarsi i piedi con la gomma, fare la doccia con gli innaffiatoi, essere felici quando piove.
Poi basta che se no diventa stucchevole.
Un’altra cosa
Un’altra cosa che mi era mancata: la città di notte, calda e vuota.
Girarci in bici senza un motivo, vedere il riflesso dei lampioni negli occhi dei gatti, gli unici che mi attraversano la strada, le serrande abbassate, le tende chiuse, sedie e panchine vuote, graffiti, scritte a mano, cartelli di legno, intonaci rotti, qualche televisore, finestre aperte, un vecchio ogni tanto affacciato che guarda la strada, le stelle da qualche parte, silenzio e sudore.
Cose che mi erano mancate
Ci sono cose che non avrei immaginato, ma mi erano mancate e ora me ne rendo conto bene: il sudore, le colline, i gatti di strada, le lucertole.
Un po’ come quando tornato da Barcellona mi resi conto di quanto mi erano mancati il cielo e le nuvole.