degno di decidere del nostro destino

Cercherò di riassumere brevemente la storia raccontata dagli storici come Blumemberg. Una volta, tanto tempo fa, sentimmo la ecessità di venerare qualcosa che stesse al di là del mondo visibile. A cominciare dal XVII secolo cercammo di sostituire all’amore per Dio l’amore per la verità, trattando il mondo descritto dalla scienza come una semidivinità. A partire dalla fine del XVIII secolo cercammo di sostituire all’amore per la verità scientifica l’amore per noi stessi, di venerare la nostra natura profonda, spirituale o poetica, trattandola come un’ulteriore semi-divinità.
La prospettiva condivisa da Blumemberg, Nietzsche, Freud e Davidson ci chiede di provare a non venerare più nulla, a non considerare niente come una semidivinità, a consideare tutto — linguaggio, coscienza, comunità — come un prodotto del tempo e del caso. Questo significherebbe, come dice Freud, «ritenere il caso degno di decidere del nostro destino».


[Richard Rorty, La filosofia dopo la filosofia (Contingency, irony and solidarity),
trad. Giulia Boringhieri, Laterza 1994, p. 32]