L’arte ha il dovere sociale di dare sfogo alle angosce della propria epoca. Un artista che non ha accolto nel fondo del suo cuore il cuore della propria epoca, l’artista che ignora d’essere un capro espiatorio, e che il suo dovere è di calamitare, di attirare, di far ricadere su di sé le collere erranti dell’epoca per scaricarla del suo malessere psicologico, non è un artista. Come gli uomini, anche le epoche hanno un inconscio. E quelle oscure parti dell’ombra di cui parla Shakespeare hanno una vita, una propria vita che bisogna estinguere. A questo servono le opere d’arte.
opporre resistenza alle forze riduttrici
Se un romanzo (una poesia, un film) è un contenuto immesso in una forma, non è che un messaggio ideologico mascherato: il suo carattere estetico si dissolve. La lettura ideologica di un romanzo (proprio quella che ci viene proposta di continuo e ovunque) ottiene l’effetto di semplificare, istupidire e appiattire almeno quanto la riduzione a ideologia della realtà stessa. Insistere sulla specificità dell’arte risponde dunque alla volontà non di sfuggire alla realtà, ma, al contrario, di vedere in un albero un albero, in un quadro un quadro; di opporre resistenza alle forze riduttrici che mutilano l’uomo e l’arte.
un altro sguardo
Ho spesso l’impressione che la cultura europea a tutti nota ne occulti un’altra ignota, quella delle piccole nazioni dalle lingue strane, quella dei polacchi, dei cechi, dei catalani, dei danesi. Si presume che i piccoli imitano di necessità i grandi. È un’illusione. In realtà sono molto diversi. Il punto di vista di un piccolo non è lo stesso di un grande. L’Europa delle piccole nazioni è un’altra Europa, con un altro sguardo, e il suo pensiero rappresenta spesso il vero contrappunto all’Europa dei grandi.
[…]
Un ebreo o un ceco non sono inclini a identificarsi con la Storia, a cogliere nei suoi spettacoli serietà e senso. Un’esperienza immemoriale li ha dissuasi dal venerare questa Dea, dall’elogiarne la saggezza. Meglio protetta contro la demagogia della speranza, l’Europa dei piccoli ha potuto così vedere il futuro più lucidamente dell’Europa delle grandi nazioni, sempre pronte a inebriarsi della loro gloriosa missione storica.
imagine si ceci
imagine si ceci
un jour ceci
un beau jour
imagine
si un jour
un beau jour ceci
cessait
imagineimmagina se questo
un giorno questo
un bel giorno
immagina
se un giorno
un bel giorno questo
cessasse
immagina
par gnént
[…]
a pòs zcòrr, a l so, sa li,
ch’a zcòrr, a zcurémm spèss,
zcòrr si mórt u s’impèra tènt ‘d cal robi,
ènch’ s’i sta zétt, che t zcòrr sno tè, t zcòrr, t zcòrr,
e ta t’incórz ch’i à sémpra rasòun lòu,
t’impèr dò t’é sbaiè, quèll che t si stè,
ta t vàid mèi, ta t cnòss dréinta, quèll t’é fat
che ta n l’évi da fè,
quèll che t’évi da fè e ta nl’é fat,
sno che ormai, ‘s’ut, adès ormai,
dal vólti,
ch’a so lè, svégg, te lèt, u m vén da déie,
da réid insén: ò imparè tótt par gnént.
non ho mai fatto nulla
quaiéun
Dòunca, no, fam capéi, i quaiéun tè
ta i vàid ch’i sbaia, ta i vrébb dè una mèna,
mètti sla bóna strèda,
mo sicómm ch’i è quaiéun i nt sta a sintéi,
e tè ta t’incapèl, ò capí bén?
sno che, sgònd mè,
ch’a sbaiarò, però, da quèll ch’a vèggh,
i n t sta a sintéi perchè la bóna strèda
u i n’è una masa ch’i la à zà tróva,
i è pin ‘d baócch, chèsi, machini, tótt,
che néun, mè e tè, l’è robi ch’a n li avémm,
e magari neanche le vogliamo,
però lòu li à, e i s li tén, e mè
a capéss ènca mè quèll che t vu déi,
loro danno valore a delle cose
che non ce l’hanno, seguono le mode,
che néun, s’avéssmi néun i su baócch,
sno ch’a n gn’avémm, a n’émm un frènch, e mè,
adès nu t’incapèla ènca sa mè,
mo dal vólti, u n sarà, u m vén da pensè,
che i quaiéun a sémm néun? a sémm mè e tè?
an Other
What we touch is always
an Other: I may fondle
my leg, not Me.
cantiamo delle canzoni
[…] la prima poesia di Chlebnikov della mia vita l’ho letta all’inizio degli anni Novanta nella biblioteca Guanda di Parma, e mi ricordo perfettamente che io ero lì, in piedi, davanti allo scaffale dei russi, e ho tirato giù un’antologia di Angelo Maria Ripellino, Poeti russi del Novecento, l’ho aperta e ho letto: «Quando stanno morendo, i cavalli respirano, quando stanno morendo, le erbe si seccano, quando stanno morendo, i soli si bruciano, quando stanno morendo, gli uomini cantano delle canzoni», e lì, ho ripetuto, io ho un udito buono, ma se avessi avuto un udito migliore, in quel momento, nel momento di quell’incontro con Chlebnkov, io avrei sentito il rumore degli scambi della mia vita che mi destinavano a un’altra direzione, lì è cambiata la mia vita, e noi, avevo detto a Torino, da quando siamo nati, che abbiamo cominciato a morire, noi facciamo quella cosa lì, che cantiamo delle canzoni.
tutta la filosofia è divisa in questi tre generi
Chiunque cerca qualcosa, arriva a questo punto: o dice che l’ha trovata, o che non si può trovare, o che ne è ancora in cerca. Tutta la filosofia è divisa in questi tre generi.